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 2015  aprile 28 Martedì calendario

L’Everest muove cento milioni l’anno. Il sisma rischia di bloccare un giro d’affari fondamentale per in un paese povero come il Nepal. I turisti pagano anche 60mila euro a testa per scalare la sua vetta ma ora la Cina ha bloccato le spedizioni

«Quando è arrivata la scossa siamo saltati fuori dalla tenda, io ero senza scarponi. Il soffio della valanga ha spaccato la tenda. Ho piantato la piccozza nella neve, sventolavo come una bandiera» racconta Marco Zaffaroni, alpinista milanese impegnato sull’Everest. «Abbiamo visto la morte in faccia, siamo stati graziati» aggiunge Mario Vielmo, di Vicenza, nove cime di ottomila metri all’attivo. Voleva raggiungere il Lhotse, la quarta montagna della Terra, la cui via di salita è per tre quarti in comune con quella dell’Everest. Gli alpinisti sono uomini (e donne) di poche parole. Nei loro racconti, le emozioni restano in secondo piano. Invece le parole di chi, la mattina del 25 aprile, è stato sorpreso dal terremoto sulla cima più alta del mondo sono ispirate a un solo sentimento. Il terrore.
L’Everest ha già compiuto delle stragi. Otto alpinisti uccisi nel 1996 da una bufera. Sedici portatori d’alta quota ammazzati un anno fa da una valanga sull’Icefall, la seraccata del versante nepalese. Stragi analoghe si sono verificate sul Nanga Parbat, l’Annapurna, e il Manaslu.
L’EMERGENZA
Le valanghe che si sono staccate dall’Everest e dal vicino Pumori, dopo la scossa del 25 aprile hanno ucciso almeno 18 persone, ne hanno lasciate un centinaio isolate a seimila metri di quota. E hanno sparso il terrore nel campo-base dell’Everest, una distesa di tende ad alta tecnologia, con pannelli solari, telefoni satellitari e altri gadget, sul ghiacciaio del Khumbu, a 5400 metri. La valanga caduta dall’Everest, sorella di quella di un anno prima, ha reso impercorribile l’itinerario di salita (e discesa) tra i 5500 e i 6000 metri di quota. Quella che si è staccata dal Pumori non è arrivata direttamente sul campo base, ma lo ha devastato con lo spostamento d’aria.
«Il soffio della valanga può raggiungere i 300 chilometri all’ora, può spostare una locomotiva» spiega Silvio “Gnaro” Mondinelli, salitore dei 14 “ottomila” senza ossigeno. “La massa di ghiaccio e pietre è stata “sparata” a due chilometri di distanza” aggiunge Gianpietro Verza, tecnico di Ev-K2-Cnr.
IL LABORATORIO
La Piramide, il laboratorio italiano a 5.000 metri di quota, ospita da vent’anni glaciologi, geologi, climatologi e zoologi. Il 25 mattina i nepalesi che la occupavano hanno visto crollare davanti a loro un fabbricato in muratura. Poi hanno accoglto alpinisti e portatori che sembravano scampati a un bombardamento.
Se l’ascensione all’Everest dal Nepal si svolge in buona parte su ghiacciai, soggetti a smottamenti e valanghe, quella del Tibet, cioè dalla Cina, segue per buona parte una cresta di roccia, più sicura. «Nessuno è stato ferito» ha raccontato al telefono satellitare l’alpinista austriaco Ralf Dujmovits. «Molti crolli ma stiamo tutti bene» ha aggiunto lo statunitense Adrian Ballinger. Dopo il terremoto per evitare problemi, le autorità di Pechino hanno fermato tutte le spedizioni.
IL TURISMO
È presto per dire se il terremoto del 25 aprile ha segnato la parola fine per il business dell’Everest, che negli ultimi vent’anni ha mosso tra i 50 e i 100 milioni di euro ogni primavera. Un anno fa, la valanga che ha fatto una strage di sherpa ha rimandato a casa gli organizzatori delle spedizioni commerciali, i clienti che pagano 60.000 euro a testa, le guide e i portatori d’alta quota nepalesi. Quest’anno le valanghe cadute dal Pumori e dall’Everest hanno stroncato altre vite, hanno costretto gli alpinisti a evacuare il campo-base, ne hanno lasciati altri isolati un chilometro e mezzo più in alto della cima del Monte Bianco. A riportarli alla vita sono due piloti italiani. «Abbiamo evacuato 80 persone, in parte ferite, dai campi alti, e abbiamo riportato a valle qualche salma» racconta Maurizio Folini l’elicotterista valtellinese partito domenica dall’Italia e che ieri era già operativo sull’Everest. Da stamattina, sui ghiacci sconvolti dell’Everest, vola anche il milanese Piergiorgio Rosati, che lavora per la nepalese Manang Air. «Sopra i 6000 metri voliamo solo io e Maurizio». Due italiani da primato, che salvano vite in un luogo meraviglioso e sconvolto.