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 2015  aprile 28 Martedì calendario

Bersani si dice pronto ad uscire dall’aule pur di non votare, la Bindi, a proposito di fiducia, parla di «un vulnus terribile nel rapporto tra il governo e il Parlamento», mentre Zoggia si ostina a non dare tutto per perso: «Continueremo a lavorare fino all’ultimo per un confronto che consenta un bilanciamento tra riforma costituzionale e legge elettorale»

Aver evocato la caduta del Partito democratico e dunque la fine della «ditta» è, per i bersaniani, l’ennesimo atto di sfida. Una drammatizzazione che i deputati più vicini all’ex segretario ritengono eccessiva e anche inspiegabile. Perché andare a una ennesima conta, questa volta sul territorio? Alla vigilia del primo voto sull’Italicum, oggi sulle pregiudiziali di costituzionalità, gli animi della minoranza sono sempre più esasperati. 
Chi ha parlato ieri con Pier Luigi Bersani lo ha trovato fermissimo, nel merito e nel metodo, su una posizione di assoluta contrarietà e determinato a non arretrare. «La decisione di porre la fiducia sulle regole del gioco – è il ragionamento che l’ex leader del Pd ha condiviso con i fedelissimi – sarebbe un vulnus talmente grave da richiedere comportamenti altrettanto gravi». Ovviamente anche Bersani tiene le dita incrociate e spera che Renzi «rinunci a compiere una simile forzatura sulla legge elettorale», ma se il premier dovesse andare dritto alla meta, il suo sì alla fiducia potrebbe non esserci. Di certo Bersani non è intenzionato a votare contro, ma al momento giusto potrebbe disertare l’Aula. 
Ettore Rosato prevede che i dissidenti pronti a smarcarsi saranno «meno di cinque tra cui Civati, Fassina e D’Attorre». Ma a sentire i deputati più integralisti della minoranza il vicecapogruppo vicario potrebbe aver sbagliato i conti per difetto. Rosy Bindi ripete il suo mantra: «Non nego la fiducia al governo, ma a un atto improprio del governo. Che spero non si compia». In Aula ieri mattina la presidente della commissione Antimafia è stata durissima contro il governo: «Sento parlare di fiducia anche sulle pregiudiziali, come sulla legge Acerbo, come sulla legge truffa... Questo è un vulnus terribile nel rapporto tra il governo e il Parlamento. Un atteggiamento che può essere pericoloso per la democrazia e il futuro di questo Paese». 
Dentro Area riformista, la componente di Roberto Speranza, sono convinti che Renzi rinuncerà a porre la fiducia sulle pregiudiziali e che un sì a larga maggioranza nel primo passaggio di oggi convincerà il capo del governo ad abbassare il livello di guardia. O almeno, è questo che la minoranza si augura. 
«Io spero davvero che Renzi non metta la fiducia» fa scongiuri l’ex segretario Guglielmo Epifani. E se invece la mette? «Vedremo...». E lo stesso Speranza sul punto cruciale prende tempo: «C’è ancora un settimana...». Davide Zoggia si ostina a non dare tutto per perso: «Continueremo a lavorare fino all’ultimo per un confronto che consenta un bilanciamento tra riforma costituzionale e legge elettorale». In realtà anche Zoggia, come tanti suoi colleghi, ha letto la missiva a tutti i presidenti di circolo come un altro atto di guerra: «Aver chiesto ai segretari regionali di sottoscrivere il documento non è un segnale distensivo, ma una inspiegabile mossa muscolare. Che bisogno ha Renzi di esasperare così i toni? Nessuno di noi vuole far saltare il banco». 
Quando le si chiede della lettera ai circoli, Rosy Bindi risponde con un sorriso amaro: «Se Renzi ha evocato la fine del Partito democratico io dico che è cominciata da tempo. Questo è il PdR, il Partito di Renzi». Il fantasma della mutazione genetica, se non della scissione, riecheggia anche nelle parole di Zoggia: «Non so se i dissidenti saranno tre, trenta o cinquanta. Ma Renzi, invece del pallottoliere, si occupi di che tipo di strascichi prove di questo tipo lasciano sul campo».