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 2015  aprile 27 Lunedì calendario

Renzi e Malagò, un cappello sopra il business per le Olimpiadi a Roma nel 2024. Scalzato il sindaco Marino, premier e presidente del Coni vogliono gestire una candidatura senza futuro. E adesso l’ex chirurgo minaccia il referendum

Il crimine non è una disciplina olimpica. Ma con impavido tempismo, appena scoperchiata Mafia Capitale, il giovane Matteo Renzi e l’amico Giovanni Malagò, una coppia di piacioni di professione, hanno candidato Roma per i Giochi del 2024. Siccome l’Italia è tutta bella e tutta cara, e non soltanto la capitale è votante, Renzi s’è inventato l’Olimpiade itinerante: un po’ a Firenze per il Brunelleschi, a Napoli e in Sardegna per la vela e il mare, a Milano per le bici. E perché escludere Torino, Venezia o il Vaticano, che dispone di campetti di pregiata erbetta inglese? Come spesso accade, Ignazio Marino ha incassato. Non il denaro: la gomitata politica, che non è per niente sportiva.
L’ex chirurgo fa il bonario, però s’è imputato. E non fa passare nulla, non concede nulla al rampante Malagò, già designato prossimo sindaco di Roma. Entro il 15 settembre va formalizzata la candidatura, ma né la giunta comunale, né l’assemblea capitolina hanno approvato un documento valido. Anzi, non l’hanno neanche abbozzato o discusso. Per la sfiancante corsa al 2024, che sarà definita fra un paio di anni, il Campidoglio ha accontato una miseria: 150.000 mila euro. Marino s’è “dato” coraggio. Il guaio è che le ripicche non lasciano un graffio. Il Coni ha il controllo assoluto, e non per una ribalda gestione di Malagò, di per sé ribaldo, ma perché Matteo gli ha prestato (non regalato) il potere. A differenza di Gianni Alemanno e Silvio Berlusconi che spesero milioni di euro per le Olimpiadi 2020 e poi furono bloccati da Mario Monti, stavolta non esiste un comitato promotore che riunisce comune, governo e Coni. Malagò ha affidato la gestione a Coni Servizi, una società di proprietà del ministero del Tesoro. Marino non dovrà imprecare sui soldi che mancano: gli 8 milioni necessari per avviare la macchina li mette lo Stato. Con l’obolo di governo, Malagò s’assicura il controllo totale, può fare e disfare, allestire conferenze stampa, centellinare annunci più o meno inutili con quel tipo di prosopopea che ricalca lo stile renziano. Per imbellettare l’immagine di Roma, il presidente del Coni ha arruolato Luca Cordero di Montezemolo, che ha accettato di sfidare la sorte, spavaldo, dopo aver legato il suo ciuffo al fallimento dei mondiali di Italia ’90. Anche il ruolo di Montezemolo è simbolico. Talmente simbolico, o meglio ancora metafisico, che il Coni non ne ha deliberato la nomina. Che importanza? Zero, decide Malagò. Correzione: Malagò con il nullaosta di Renzi.
Questa sintonia ha permesso a Claudia Bugno, una dirigente ministeriale ex consigliere nel Cda di Banca Etruria (con il papà del ministro Maria Elena Boschi vicepresidente), di ottenere il coordinamento del comitato promotore. E Marino, offeso, ha ingaggiato per 37.000 euro un ex assessore di Barcellona, Enric Truno y Lagares, per importare i fasti catalani dell’edizione del ’92. Assunti i rimedi pallitiavi, e queste per adesso sono davvero scaramucce con Malagò (leggi pure Renzi), l’ex chirurgo minaccia di fare il referendum consultivo sui Giochi per far esprimere i romani. Le previsioni sono scontate: i romani, disillusi, bocceranno il progetto. È presto, per ora è (è ancora) un’ipotesi. Al Comitato Olimpico Internazionale sono grati a Renzi per aver inaugurato la maratona burocratica e lobbistica da qui al 2024, ma sono sei le città che potrebbero sfidare Roma: Baku, Boston, Budapest, Amburgo, una metropoli indiana e la più blasonata, Parigi, che in quell’anno vuole celebrare un centenario olimpico. Oltre i simboli e la grandeur, i Giochi rappresentano un impiccio. Vedi il Brasile, stremato già dopo i Mondiali, tra balletti coreografici e rivolte feroci.
La Novergia con Oslo si è ritirata per quelle invernali del 2022, resiste la Cina con Pechino, impegnata in un farsesco ballottaggio con Almaty, in Kazakistan, il regno del dittatore Narzabayev. Vincerà la Cina. E vinceranno gli sprechi. A Pechino non sanno come smaltire le strutture del 2008. I Giochi vanno contro la logica economica. Anche se parsimoniosa, l’Italia dovrebbe spendere almeno 10 miliardi di euro. Nessuno s’è bevuto la farsa degli imprenditori impazienti di investire su Roma 2024. E non è il caso di affrontare la questione scadenze, consegna dei lavori. Già L’Expo di Milano è un umiliante gioco di ritardi e ruberie. Forse sarebbe saggio candidare Roma per il 2054. Per iniziare domani con gli appalti.