Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  aprile 27 Lunedì calendario

«Se l’Italicum non passa io salgo al Quirinale». Così Renzi dà il suo aut-aut contro i nostalgici dell’inciucio. Lo ha detto venerdì in tv da Lilli Gruber. «Se la legge elettorale fosse bocciata non sarei smentito solo io, ma l’intero Pd. L’abbiamo cambiata tre volte ascoltando le richieste della minoranza, ora vogliono cambiarla di nuovo, in realtà pensano di tornare daccapo come sempre»

«La fiducia? Solo un’ipotesi. Comunque se l’Italicum non passasse, andrei io al Quirinale contro i nostalgici dell’inciucio». Renzi rilancia. Da un lato, sgombra il campo dall’ipotesi di una fiducia sulle pregiudiziali di costituzionalità (e neppure slitteranno di una settimana le votazioni). Dall’altro, spiega che politicamente l’ha già messa. Lo ha detto persino in tv venerdì da Lilli Gruber. Formalmente deve ancora decidere. Però niente trucchi e melina. Il premier avverte soprattutto la sinistra dem: «Se la legge elettorale fosse bocciata non sarei smentito solo io, ma l’intero Pd. Questa legge l’abbiamo cambiata tre volte ascoltando le richieste della minoranza, ora vogliono cambiarla di nuovo, in realtà pensano di tornare daccapo come sempre. Ma non glielo consentiremo». E minaccia che, se il governo inciampasse, dietro l’angolo ci sono appunto le elezioni: «In questa legislatura un governo Brunetta-D’Attorre- Salvini non mi pare lo scenario più plausibile, sarebbe il Pd a quel punto a chiedere il voto anticipato». Renzi insomma salirebbe al Colle. «I nostalgici dell’inciucio, sia dentro il Pd che fuori, come Brunetta, si mettano l’animo in pace: il governo sarà di legislatura, fino al 2018, perciò con le riforme avanti tutta», si sfoga. E racconta ai suoi del partigiano che a Marzabotto pochi giorni fa gli ha detto:«Matteo, noi di sinistra siamo così, litighiamo e discutiamo ma tu vai avanti».Siamo al duello finale sull’Italicum, che oggi approda in aula a Montecitorio. Non mettere tecnicamente la fiducia è un’offerta ai dissidenti. In cambio di cosa? Di evitare le imboscate nei voti segreti? Renzi si sente forte dei numeri nel partito: «La stragrande maggioranza dei democratici, anche a livello locale, sta con me». Tanto che parte la mobilitazione dei segretari regionali, provinciali e dei circoli. Rinvia al mittente le accuse che in queste ore stanno montando, di fare cioè del Pd un partito della nazione che imbarchi anche i moderati berlusconiani: «Bondi e Verdini potranno pure appoggiare il governo, ma non entreranno mai nel Pd. Chi critica si è dimenticato che abbiamo portato il partito al 41%, che abbiamo vinto in quattro regioni in cui si era perso... «.Il clima è teso più che mai. Le sinistre dem si preparano alla battaglia. Bersani mostra tutto il suo scetticismo sul dilemma fiducia sì-fiducia no: «Finché non vedo, non ci credo». Sono un centinaio i deputati dissidenti del Pd lacerati tra voto di coscienza e disciplina di partito. E sta nella frammentazione il vantaggio che il premier può capitalizzare. Accanto ai duri e puri – come Rosy Bindi, Alfredo D’Attorre, Pippo Civati, Stefano Fassina che con un drappello di altri quattro o cinque deputati hanno annunciato che non parteciperebbero al voto di fiducia – ci sono i più moderati e prudenti per i quali non votare per il “proprio” governo è inconcepibile. Roberto Speranza e Nico Stumpo, rispettivamente leader e coordinatore di “Area riformista”, fanno capire che la fiducia passerebbe certo abbondantemente, «ma sarebbe una violenza vera e propria al Parlamento, un vulnus». Un atto così grave da aumentare poi il numero dei dissidenti nel momento dell’approvazione finale dell’Italicum, prevista tra l’altro a scrutinio se-greto. Il capogruppo dimissionario considera «un errore politico madornale» la mozione di fiducia. Perché poi, nel voto finale, si manifesterebbero ben più dei quindici dem che Renzi mette in conto: a quel punto diventerebbero una settantina o più. Il rischio non è solo che la legge passi con numeri risicati, ma che manchi il numero legale.Qui torna in ballo Berlusconi. L’ex premier ha fatto sapere di volersi giocare il tutto per tutto per sgambettare l’Italicum. Forza Italia quindi pensa all’Aventino con le altre opposizioni, cioè M5Stelle, Lega e Sel, nel voto finale. La mossa del cavallo. Con un duplice effetto. Stoppare il soccorso azzurro che Denis Verdini potrebbe fornire a Renzi, a meno che l’ex coordinatore forzista non decida di cogliere l’occasione per uno strappo ormai imminente. E al tempo stesso, dare un assist ai dissidenti dem per mettere in pericolo il quorum. Renzi ha chiesto a Ettore Rosato una contabilità minuziosa dei numeri parlamentari. Conto che tengono anche la sinistra dem e le opposizioni. «Se Matteo mettesse la fiducia, indebolirebbe se stesso prima di tutto», osserva Gianni Cuperlo. Civati insiste per una linea comune delle minoranze, ad esempio la non partecipazione al voto finale o un netto “no” all’Italicum. «Perché un governo dovrebbe cadere sulla legge elettorale? È incomprensibile» ragiona Bindi.