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 2015  aprile 24 Venerdì calendario

Droni o aerei, tutti i rischi della guerra ai barconi. Le imbarcazioni utilizzate per i traffici sono difficilmente individuabili per cui la possibilità di creare danni collaterali è elevata

Il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, le ha definite «azioni mirate» per fermare i trafficanti di esseri umani lasciando però ai militari «dire come vanno fatte queste azioni», per non svelarne i piani. «Noi siamo pronti. Speriamo che l’Europa sia, al nostro fianco, pronta come noi», ha concluso il ministro. Salvo sorprese dell’ultima ora, di Europa non pare se ne vedrà molta nelle operazioni militari che si stanno preparando contro i trafficanti libici. Gli unici pronti a menare le mani (come nel 2011 contro il regime di Gheddafi) sembrano i britannici che invieranno la nave da assalto anfibio Bulwark, con tre elicotteri e unità di forze speciali e Royal marines mentre qualche contributo navale potrebbe arrivare da Belgio e Francia.
«Dobbiamo smantellare le gang» in Libia «e stabilizzare la regione», ha detto il premier David Cameron, da sempre favorevole a risolvere la crisi con il respingimento sulla costa libica dei migranti: probabilmente l’unica soluzione in grado di scoraggiare i flussi migratori e azzerare gli incassi dei trafficanti evitando i tragici affondamenti dei barconi.
In attesa di conoscere i piani operativi pare molto probabile che la gran parte della forza europea sarà composta da navi e mezzi italiani e l’intera operazione potrebbe venire guidata dal Comando operativo interforze di Roma.
L’obiettivo, da molte fonti indicato come prioritario, di distruggere preventivamente i barconi potrebbe risultare arduo. Metterlo in atto richiederà un’intensa attività di intelligence e ricognizione, peraltro già sviluppata da tempo da Roma con l’impiego di satelliti, droni e persino sommergibili impegnati a individuare le basi e le imbarcazioni dei trafficanti.
La “flotta” dei trafficanti è composta da barconi in legno o Pvc ma anche da molti gommoni, tutte imbarcazioni facilmente occultate dai criminali. Distruggerle significa impiegare ordigni lanciati da aerei, elicotteri armati, artiglierie navali o compiere incursioni sulla costa con fanteria o forze speciali. Opzioni che non possono escludere il rischio di provocare danni collaterali anche perché i trafficanti cercheranno di nascondere le loro preziose imbarcazioni (ogni viaggio frutta centinaia di migliaia di euro) vicino a obiettivi civili o ai luoghi dove vengono alloggiati gli stessi migranti utilizzandoli come scudi umani per scoraggiare gli attacchi.
Gli stessi rischi si correrebbero impiegando i droni; mezzi che riducono i costi ma che impiegherebbero comunque missili e bombe di precisione se fossero armati. Gli statunitensi infatti hanno venduto all’Italia 12 Predator nelle versioni A e B ma non i kit di armamento, concessi finora solo ai britannici.
L’impiego di forze militari per incursioni “mordi e fuggi” sulla costa potrebbe ridurre il rischio di colpire innocenti ma comporterebbe la possibilità di coinvolgere le truppe in scontri a fuoco con potenziali perdite e richiederebbe l’approntamento di un dispositivo aereo e navale per recuperare le truppe a terra ed evacuare feriti. Molti a Bruxelles hanno paragonato la nuova missione in Libia all’Operazione Atalanta contro la pirateria somala. A parte le ampie differenze di contesto vale la pena ricordare che dopo i primi raid degli elicotteri europei per distruggere i barchini sulle spiagge i pirati minacciarono di uccidere i marinai in ostaggio e le incursioni cessarono.