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 2015  aprile 24 Venerdì calendario

Intervista a Weddi Shambel, trafficante di uomini: «Vogliono bombardarci? Siamo armati, ci difenderemo. Siamo più solidali dell’Europa, da secoli si viaggia su questo mare. Abbiamo migliaia di persone qui, altre migliaia nel Sahara. E la Libia non è l’unico Paese da cui partire»

“Pronto? Chi ti devo passare?”. L’uomo che ci risponde al telefono è in Libia. Con lui ci sono centinaia di immigrati, sono rinchiusi in una delle tante masraa, le case delle campagne libiche, in attesa di poter partire. Nessuno di loro è autorizzato ad avere con sé un cellulare. Ma i loro familiari hanno il numero del trafficante, che di volta in volta gli fa da centralino, passandoglieli al telefono. È lo stesso numero che il Fatto Quotidiano è riuscito a procurarsi. È il numero di Weddi Shambel. È il braccio destro di un capo dei trafficanti.
Il suo nome appare nelle indagini della Procura di Palermo che, nei giorni scorsi, ha portato a decine di arresti per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Weddi è il collaboratore di Ermias Ghermay, ricercato dallo Sco della polizia italiana, latitante, considerato uno dei tre più grossi trafficanti insieme con l’eritreo Medhanie Yehdego Mered e, soprattutto, con il “capo dei capi” Abdelrazak. È proprio Ermias che, al telefono, dice al suo amico Tiklit: “Il mio collaboratore si chiama Weddi Shambel, il suo cellulare è 091… se vuoi lo puoi contattare…”. Quando lo chiamiamo, in Libia, sono le quattro del pomeriggio.
“Pronto? Chi ti devo passare?”, insiste l’uomo al telefono. È convinto che siamo parenti di chissà quale viaggiatore rinchiuso nella masraa. Sentiamo un neonato che piange. Due vagiti rompono il silenzio. Con lui, come spiegherà Weddi Shambel, ci sono migliaia di persone pronte a partire. È questione di giorni: presto ci ritroveremo ad accoglierli sulle nostre coste. “Mi chiamo Abdel – dice il nostro interprete – sono il traduttore di un cronista e vogliamo farvi delle domande. Vuoi rispondere?”.
In realtà non stiamo ancora parlando con Weddi Shambel, ma con una sorta di segretario, cioè l’uomo che raccoglie le telefonate per i viaggiatori: “Aspetta”, ci dice, “ora te lo passo”. E finalmente sentiamo la sua voce: “Pronto? Sono Weddi Shambel, dimmi”.
Shambel, la notte tra il 18 e il 19 aprile c’è stato l’ennesimo naufragio. I morti potrebbero essere 900. Qui in Italia voi trafficanti siete al centro della discussione politica. E non soltanto in Italia. Mentre io e lei parliamo si sta svolgendo un Consiglio dell’Ue sull’emergenza immigrazione. Si stanno valutando molte opzioni. Anche quella di bombardare le vostre barche nei porti libici: lei cosa ne pensa?
Chi ci vuole bombardare? I libici?
No, è l’Ue che sta pensando di farlo. Qui in Italia, il ministro dell’Interno Angelino Alfano pensa di bombardare le vostre barche prima che partano.
Vogliono mettere le mine nel mare?
Nessuna mina. Navi militari a pattugliare la costa libica e bombardamenti sui vostri barconi.
L’Italia vuole bombardarci?
È un’idea. Lei che fa, continua lo stesso a organizzare i suoi viaggi?
(Weddi ride. Poi si rivolge direttamente all’interprete). Dici bene fratello. Certo che continuo. Ma pensi che questi europei lo fanno per il bene dei rifugiati? Noi già abbiamo il pane, abbiamo pure l’acqua, già li dividiamo con i nostri fratelli. Noi siamo più solidali dell’Europa: i rifugiati sono i nostri fratelli. Ma insomma, sono secoli che la gente viaggia su questo mare, adesso cosa volete?
L’Ue – con l’Italia in testa – vuole fermare traffici e sbarchi. L’idea è che bombardando i barconi si interromperà l’immigrazione clandestina. È così oppure no?
Ma chi vuole bombardarci? Italia? Francia? Chi? Se bombardano, comunque, esistono altre strade, altri Paesi da cui partire.
Quindi non vi fermereste.
Volete bombardarci? Ma se dovete ancora saldare un debito di almeno 400 anni per 54 paesi africani! Ascolta, qui ci sono migliaia di persone, nelle masraa, altre migliaia e migliaia sono nel Sahara e stanno arrivando. Vogliono venire tutti in Europa.
Nei viaggi però muoiono migliaia di persone.
È colpa dei trafficanti avidi. Io non sono così. Ma c’è chi è avido. Cerca di capire, questo è il periodo migliore per partire e molti trafficanti – ora non parlo di me – stanno invogliando tanta gente a viaggiare.
Gente destinata alla morte.
Non è colpa mia. Ci sono trafficanti che vogliono guadagnare troppi i soldi in poco tempo, per questo spingono tanta gente nelle barche, sono loro che stanno provocando queste tragedie. E se succede qualcosa, questi non provano alcun senso di colpa. Vogliono solo far partire e guadagnare. Ma io non sono così.
Comunque adesso l’Ue reagirà.
L’Italia vuole fermare tutto questo? Vuole farlo per aiutare i rifugiati? Ma l’Italia deve pensare prima a coprirsi il culo! Dovrebbe pensare prima a risolvere i suoi problemi con i rifugiati! (Ride. Poi torna a rivolgersi direttamente all’interprete). Se sei tu, un mio fratello, a darmi un consiglio, io da te lo accetto. Se mi dici che sbaglio, dovrò ragionarci. Ma lascia perdere gli italiani: loro non vorranno mai risolvere il problema degli eritrei. (Poi torna a rispondere alle domande).
Non è possibile accettare questa strage continua in mare. Non se ne rende conto?
La verità è che l’Italia sta facendo tutto questo casino per mendicare un po’ di soldi all’Europa. E lo fa usando il nome dei rifugiati. Ma sappiate che anche noi abbiamo chi ci consiglia.
Weddi, ora la polizia internazionale vi sta cercando. Ermias, Abdelrazzak, Medhanie Yehdego Mered. Lei è un pesce un po’ più piccolo, ma lavora con loro, non ha paura di essere arrestato?
Se mi cercano, sono qua. Mi chiamo Weddi Shambel, sono pronto, ho le mie armi, vediamo che succede a chi mi cerca. Io prego che non succeda. Prego che loro non bombardino, che non ci costringano a rispondere. Ma se sono costretto, io rispondo. (S’infervora, alza il tono della voce, inizia a urlare). Io mi chiamo Weddi Shambel: potete chiedere in giro chi sono. Chiedete pure al governo eritreo. Può chiederlo anche a tutti gli eritrei che adesso sono qui con me in questa masraa.
Shambel, guardi che è lei che sta trattando male i suoi fratelli.
Sì? Mi sta registrando?
Sì.
E mi sente bene?
Sì.
E allora ascolti, perché la autorizzo a pubblicare queste parole in tutto il mondo: io mi chiamo Weddi Shambel, chi mi cerca venga a trovarmi, quando vuole. Io sono qui. Sono pronto e sono armato. Venite a cercarmi, poi vedremo. (Riattacca).
Proviamo a richiamarlo, ma il telefono ormai squilla a vuoto nella masraa, dove con Weddi e il suo “segretario” centinaia di persone aspettano le telefonate dei loro parenti, per inviare soldi con Western Union e avere il via libera per partire verso l’Italia. Una partenza che aspettano da chissà quanto tempo. Riascoltiamo la registrazione. Più e più volte. Riascoltiamo le parole di Weddi, provando a dare la traduzione più fedele possibile, che restituisca il vero senso delle sue risposte e delle nostre domande, tradotte in tigrino dal nostro interprete. Le abbiamo riportate fedelmente ma quel che più ci tocca, alla fine, non è tanto la sua determinazione a continuare. No, sono quei due vagiti, distinti, rimasti impressi nel nostro registratore. I vagiti di un neonato, rinchiuso nella masraa. Un neonato pronto a partire, ammassato con chissà quante centinaia di persone, nel prossimo peschereccio destinato a lasciare la Libia per l’Italia. Che possa avere fortuna.