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 2015  aprile 21 Martedì calendario

«Mi darò la dolce morte». Parla Diego Dalla Palma, 64 anni, visagista delle star, che soffre di un’artrite che presto gli deruberà l’autonomia e la dignità: «So come si muore in quel modo e scelgo di andarmene a modo mio. Sono da anni iscritto a un’associazione proprio perché voglio programmare lo spegnimento del mio esistere. Qualcuno vuole chiamarlo suicidio? E allora, accidenti!, chiamiamolo suicidio! Per me, ha un diverso significato»

Verrebbe da implorarlo di ripensarci. Ma in effetti, con quale diritto? Solo perché quando pensiamo a lui pensiamo a un uomo che va d’accordo con i colori? Perché ha passato la vita a correggerla, in modo che tutto sembrasse naturale? O perché prima di ogni altra cosa è un signore per bene al quale ci siamo affezionati a distanza? Oppure perchè ha vissuto in mezzo ai trucchi senza mai mascherarsi? Un marcantonio veneto sempre in ordine per educazione prima che per vanità. Il visagista delle dive, ma anche un imprenditore, uno scrittore, un personaggio televisivo e un precursore.
Arriva come una fitta il post su Facebook di Diego Dalla Palma che a sessantaquattro anni parla della sua malattia, l’artrite che presto lo costringerà ad abbandonare piumini e pennelli, lo stesso nemico che ha infierito sui suoi genitori accartocciandoli, derubandoli dell’autonomia e della dignità. Così annuncia il truccatore delle dive: «So come si muore in quel modo e scelgo di andarmene a modo mio. Mi darò la dolce morte. Sono da anni iscritto ad Exit (l’associazione che offre un’assistenza al suicidio, ndr) proprio perchè voglio programmare lo spegnimento del mio esistere. Qualcuno vuole chiamarlo suicidio? E allora, accidenti!, chiamiamolo suicidio! Per me, ha un diverso significato». Ai suoi esordi il New York Times lo ha definito «il profeta del make up made in Italy». Profeta ancora, ma il make up non c’entra più.
Si spoglierà di tutto, venderà le sue proprietà in Veneto, Lomabardia, Sicilia, e darà tutto in beneficenza: per bambini, anziani soli, profughi. Perchè troppe volte ha visto «la roba» attaccarsi male a certa gente, come il fondotinta sbagliato.
Scegliere il momento di morire, ha scritto ancora, «per me è solo un pensiero luminoso, positivo e concreto per evitare, fra qualche anno, pietismi, dolori morali e fisici, umiliazioni, atroci torture e corse ad ostacoli continue. Purtroppo, ho ereditato il peggio di certe problematiche fisiche che hanno reso infelici i miei genitori negli ultimi anni della loro vita. Quindi, ne devo tenere conto. Ma, lo ripeto, sono sereno, anche se tormentato... Sparirò quando lo riterrò opportuno, salutando prima le persone che amo. Ho programmato già tutto, nei dettagli, con una lucidità e un senso lirico che mi fa vedere il sole anche nel cuore della notte».
Strazia e confonde. Ma corregge, come in fondo ha fatto per oltre quarant’anni. Mette a posto quello che da solo non va, quello che da solo non è uscito bene. La vita che ti congeda male è molto peggio di un naso sgrammaticato, di un mento che se la fila, di un paio di labbra che sorridono a ferita. Figuriamoci se non doveva pensare a un belletto anche per questo.