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 2015  aprile 21 Martedì calendario

In un libro Peter Schweizer, giornalista che faceva parte dello staff presidenziale di George W. Bush, spiega come i Clinton si siano fatti ricchi con i soldi dei governi stranieri – tra cui Australia, Canada, Germania, Norvegia e Gran Bretagna – e di uomini d’affari di tutto il mondo, dallo sceicco Mohammed Hussein al Amoudi, miliardario affarista etiope-saudita, a Elton John

Non i trascorsi di Bill, non la scarsa empatia con l’americano medio. Ma i soldi, i fondi raccolti per la campagna elettorale: questo oggi è il fronte più vulnerabile per Hillary Clinton.
Il 5 maggio esce negli Stati Uniti un libro dal titolo promettente, Clinton cash: la storia mai raccontata di come e perché governi stranieri e uomini d’affari aiutarono Bill e Hillary a diventare ricchi. Dalle prime indiscrezioni pubblicate dal New York Times si capisce che il saggio di 186 pagine può avere un effetto dirompente sulla corsa per la Casa Bianca.
L’autore è Peter Schweizer, un giornalista che faceva parte dello staff presidenziale di George W.Bush. La tesi del lavoro è lineare: nel periodo in cui è stata segretario di Stato, cioè dal 21 gennaio 2009 al 31 gennaio 2013, Hillary Clinton avrebbe favorito imprenditori e governi stranieri in cambio di contributi alla Fondazione di famiglia. Per il momento sono emersi solo due esempi concreti. Il primo è un accordo commerciale di libero scambio con la Colombia che avrebbe avvantaggiato uno dei maggiori finanziatori dei Clinton. Niente nomi, per ora. Il secondo caso tocca una banca canadese che ha versato un milione di dollari nelle casse della Fondazione, proprio mentre il Dipartimento della segreteria di Stato (il ministero degli Esteri) stava esaminando il progetto dell’oleodotto Keystone, di cui è azionista lo stesso istituto canadese. Il progetto, sia detto per inciso, è sostenuto dal Congresso a maggioranza repubblicana, ma non ha ancora superato il veto del presidente Barack Obama.
Fin qui le anticipazioni di «Clinton cash». Lo staff della candidata in campo democratico sta cercando di derubricare l’inchiesta di Schweizer nella sottocategoria dei «complotti» e degli «attacchi faziosi». In realtà il problema di una maggiore trasparenza nelle entrate e nelle uscite della Fondazione Clinton esiste. L’istituto, finora, si è occupato di progetti socioeconomici e di programmi anti Aids nel mondo. Tuttavia Hillary Clinton è stata la prima a capire che, in piena campagna elettorale, i contributi provenienti da alcuni governi sarebbero stati letti in modo malizioso. Così il 15 aprile ha annunciato che la Fondazione avrebbe continuato ad accettare contributi da Australia, Canada, Germania, Olanda, Norvegia e Gran Bretagna. Ma avrebbe rinunciato ai fondi provenienti dall’Arabia Saudita e degli altri Stati del Golfo per evitare interferenze con la linea politica su temi chiave come il Medio Oriente o il dossier Iran.
La nuova regola, però, vale da adesso in avanti. I fondi ricevuti nel 2014 rimangono in cassa o sono già stati spesi: in ogni caso possono pesare sulle scelte della candidata Hillary. E allora è interessante spulciare tra le voci di bilancio pubblicate sul sito della Clinton Foundation, sotto l’appello firmato da Bill, Hillary e la figlia Chelsea. Il rendiconto del 2013 (ultimo disponibile) registra una raccolta pari a 198,8 milioni di dollari, contro 116,4 milioni del 2012. Tra i benefattori più generosi, con assegni tra i 10 e i 25 milioni, figura il Regno dell’Arabia Saudita, in singolare accoppiata con il governo norvegese. Nella fascia tra cinque e i dieci milioni di dollari, compaiono lo Stato del Kuwait, lo sceicco Mohammed Hussein al Amoudi, miliardario affarista etiope-saudita, ma anche la Coca-Cola, l’ex pilota Michael Schumacher e il cantante Elton John. Tra uno e cinque milioni di dollari, non meglio specificati «Amici dell’Arabia Saudita» e Nasser al Rashid, altro businessman saudita.
L’elenco è lungo, con numerosi spunti per la battaglia politica e anche per qualche colpo basso.