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 2015  aprile 17 Venerdì calendario

Ai dipendenti del Senato taglio dello stipendio solo per i prossimi tre anni. Vinto il ricorso interno: gli assunti a Palazzo Madama avranno una riduzione in busta paga fino a dicembre 2017, poi il salario tornerà a crescere. E a Montecitorio sarà lo stesso

Il taglio è scattato solo dal primo gennaio 2015, a differenza di tutti gli altri dipendenti pubblici che si sono visti calare la scure di Matteo Renzi sugli stipendi già nel 2014. Il famoso tetto dei 240 mila euro agli stipendi è arrivato alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica in formula assai più soft di quel che avveniva per tutti gli altri travet. Primo perché il taglio degli stipendi è stato deciso in modo graduale, lungo il triennio 2015-2017 e quindi sarebbe divenuto effettivo solo dal primo gennaio 2018. Secondo perché dal taglio sono state escluse sia indennità di funzione che la parte contributiva previdenziale. In questo modo lo stipendio più alto della Camera, quello del segretario generale sarebbe sceso dai circa 480 mila euro del 2013 a 360 mila euro nel 2018.
Il condizionale è davvero d’obbligo, perché negli ultimi giorni è arrivata una novità che manda gambe all’aria pure quel taglio soft. La Commissione contenziosa del Senato della Repubblica a cui erano ricorsi i dipendenti contro quel taglio ha dato loro ragione su un un punto essenziale: il carattere temporaneo di quel taglio. Stesso ricorso hanno fatto davanti alla commissione interna (applicando il principio dell’autodichìa) i dipendenti della Camera, ed è praticamente scontato che l’esito sia lo stesso, perché i due palazzi non possono consentirsi regimi differenziati nel trattamento del personale.
Grazie alla decisione della commissione interna di palazzo Madama la delibera che taglia gli stipendi diventa a scadenza, e i suoi effetti finiranno il 31 dicembre 2017, a un passo dalla realizzazione prevista. A nessuno quindi sarà ridotto lo stipendio fino in fondo, e dal primo gennaio 2018 invece dell’ingresso in vigore dei nuovi tetti i dipendenti del Senato (e della Camera di conseguenza) potranno davvero stappare champagne: le loro buste paga faranno il passo del gambero, tornando alle norme in vigore prima che Renzi arrivasse a palazzo Chigi.
Con questo dispositivo – ad esempio – quello stipendio lordo del segretario generale della Camera invece di approdare ai previsti 360 mila euro lordi annui (che erano già il 50% più del tetto imposto a tutti gli altri dirigenti pubblici), lieviterà di nuovo fino a 480 mila euro. A meno che venga presa una nuova decisione probabilmente dal Parlamento della nuova legislatura, che reintroduca lo stipendio.
I dipendenti degli organi costituzionali avevano preso male quel taglio in forma più soft che era stato deciso anche per loro, e si capisce perché così reagisce chiunque veda ridurre all’improvviso il proprio tenore di vita. Alla Camera c’era stata anche un po’ di maretta, con una sorta di corteo interno che arrivò protestando all’ufficio di presidenza che doveva prendere quelle decisioni. Qualche sigla sindacale e singolo dipendente provarono anche le vie della magistratura ordinaria, da cui però nessuno è riuscito ad avere soddisfazione perché sul tema gli organi costituzionali godono di un regime particolare. Per questo sono partiti i ricorsi agli organi interni, che per altro sono composti da politici esattamente come gli uffici di presidenza che avevano deliberato il taglio di quegli stipendi. La commissione contenziosa del Senato che ha improvvisamente aperto quella falla è presieduta dal Pd Giorgio Pagliari, con vicepresidente Nico D’Ascola (Ap). Il terzo componente di nomina parlamentare è di nuovo un Pd, Roberto Cociancich.