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 2015  aprile 17 Venerdì calendario

Brasile, la tangentopoli si avvicina a Dilma Rousseff. L’arresto di Joao Vaccari Neto, tesoriere del Pt, spinge il governo verso una grave crisi politica. E ora la «presidenta» potrebbe rischiare l’impeachment

Un’ironia beffarda. Proprio lei, a primeira presidenta do Brasil, eletta e rieletta per un secondo mandato presidenziale,in quanto integerrima e inflessibile, ora rischia l’impeachment.
Il Brasile vive una crisi economica di media entità ma una crisi morale di grande portata. Il sistema politico e quello economico rivelano, da più di un anno, uno schema di tangenti collaudato e foriero di gravi irregolarità istituzionali. Il caso Petrobras è quello più eclatante, proprio per la contiguità con la politica e per le ingenti risorse drenate al sistema produttivo.
L’ultimo atto di una vicenda che mostra il lato meno nobile della politica brasiliana conduce a Joao Vaccari Neto, tesoriere del Partito dei lavoratori (Pt), formazione politica alla quale appartiene anche Rousseff. Vaccari è stato arrestato dalla polizia federale nell’ambito dell’inchiesta Lava Jato (Autolavaggio), e riguardante sospetti di mazzette per almeno 4 miliardi di dollari all’interno del colosso petrolifero statale, Petrobras.
Vaccari era già stato arrestato, una prima volta, il 5 febbraio scorso e incriminato formalmente il 16 marzo. Secondo ultime le accuse il tesoriere – chiamato in causa da numerosi altri indagati – avrebbe preteso che una parte delle tangenti versate dall’ente petrolifero statale brasiliano fossero pagate attraverso delle donazioni elettorali; in 18 mesi Vaccari avrebbe ricevuto 24 versamenti per un totale di circa 1,2 milioni di dollari.
Fino ad ora il caso Petrobras ha indebolito il governo di Rousseff, soprattutto in quanto originato in quel colosso energetico che i brasiliani percepiscono come un bene nazionale. Una cassaforte capace di riflettere il prestigio dell’intero Paese sul proscenio internazionale. L’arresto di Vaccari avvicina ancora di più le spire della corruzione ai massimi vertici politici e istituzionali.
Le manifestazioni di protesta contro la corruzione si sono moltiplicate. Nell’ultimo mese centinaia di migliaia di brasiliani sono scesi in piazza al grido di “Fuori Dilma!”, chiedendo le dimissioni o l’impeachment della presidenta del Brasile che, pur non coinvolta direttamente nell’inchiesta, ha visto il suo gradimento crollare al 25% dopo la rielezione quattro mesi fa.
San Paolo si conferma la capitale delle proteste, anche per l’alto costo della vita che colpisce la metropoli. Il pacchetto di austerity, varato di recente, ha ulteriormente inasprito i toni.
Sembrano lontani gli anni del boom, quelli in cui l’ex presidente Inacio Lula da Silva incassava i complimenti di Barack Obama e l’entusiasmo della sinistra latinoamericana, il plauso dei mercati finanziari e l’appoggio delle classi sociali più svantaggiate. Erano gli anni di crescita economica vicino all’8%, con 40 milioni di brasiliani fuori dalle sacche di povertà e inclusi nella classe media del Paese.
I grandi successi politici (di stabilità)e le conquiste economiche (di crescita vigorosa) parevano non finire mai. Il ciclo positivo è stato lungo e anche per questo Lula ha sognato di sfuggire al contagio della crisi internazionale; così non è andata e ora i brasiliani apprendono dagli istituti statistici dati deprimenti. Per la prima volta da dieci anni aumenta il numero degli indigenti, che superano i 10 milioni. La Mecca della speranza e delle opportunità assomiglia un po’ di più alla Vecchia Europa, da tempo in bilico tra recessione e stagnazione.