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 2015  aprile 17 Venerdì calendario

La Francia e il progetto di legge in nome della lotta al terrorismo che divide il Paese. Vorrebbero usare le nuove tecnologie per ottenere il controllo totale dei cittadini, intercettando i loro cellulari e analizzando i loro movimenti in rete, senza però violarne la libertà individuale. Ma l’equilibrio tra sicurezza e privacy non è cosa da poco

Il governo francese è chiamato a due imprese quasi impossibili: reagire con tempismo agli attentati jihadisti di gennaio senza apparire frettoloso e dominato dall’emotività; usare le nuove tecnologie nella lotta al terrorismo senza violare le libertà individuali. Il rischio, come si dice in Francia, è volere il burro e i soldi del burro (versione locale della botte piena e la moglie ubriaca), e da questo paradosso nascono le dure proteste contro il nuovo progetto di legge sulle attività di intelligence.
L’Assemblea nazionale ha cominciato a esaminare gli articoli chiave in vista dell’approvazione solenne prevista per il 5 maggio; poi il testo passerà al Senato con procedura di urgenza – anche questa circostanza è molto criticata – per un’entrata in vigore entro l’estate.
«Di fronte al terrorismo, quando si tratta di assicurare la sicurezza dei nostri compatrioti preservando al tempo stesso le nostre libertà fondamentali, è il senso dello Stato che deve prevalere», ha dichiarato ieri il primo ministro Manuel Valls invitando tutti i deputati a dare il loro assenso. I socialisti al potere e il centrodestra all’opposizione sono in maggioranza favorevoli, in una dimostrazione dell’unità nazionale subito invocata dopo i morti di Charlie Hebdo, di Montrouge (la poliziotta Clarissa Jean-Philippe) e del supermercato kosher. Ma i verdi, il Front de Gauche e alcuni socialisti dissidenti parlano di legge liberticida, di legalizzazione di abusi già praticati dalla polizia da anni peraltro con scarsi risultati, di strumentalizzazione dell’emergenza terrorismo per ottenere il controllo totale dei cittadini.
Dopo l’11 settembre 2001 molti francesi avevano osservato scuotendo la testa l’introduzione del Patriot Act negli Stati Uniti, come se una simile limitazione dei diritti civili fosse possibile solo nella detestata America di George W. Bush. Oggi scoprono che trovare l’equilibrio tra sicurezza e privacy è complicato anche in Europa.
I punti più contestati sono i larghi poteri dati ai servizi non solo nella «prevenzione del terrorismo», ma anche nella «difesa dell’indipendenza nazionale», «l’integrità del territorio», la lotta «alla criminalità e alla delinquenza organizzata»: categorie molto generiche sotto le quali – a colpi di interpretazioni – potrebbe rientrare tutto, dal lavoro della stampa alle manifestazioni di protesta.
Poi, l’impianto presso i fornitori di accesso Internet di «scatole nere» con le quali raccogliere e analizzare in massa i metadati (non tanto il contenuto delle comunicazioni quanto chi parla a chi, dove, secondo quali modalità) per dare automaticamente l’allarme in caso di traffico sospetto.
E ancora, il ricorso agli «Imsi-catcher», antenne che permettono di intercettare tutte le conversazioni al cellulare in un raggio di 500 metri. Il rischio è la «pesca a strascico», cioè consentire la sorveglianza di massa.
Lo storico e sociologo Pierre Rosanvallon, uno dei punti di riferimento della sinistra, si dice «stupefatto e preoccupato»: «Il governo confonde il terrorismo con l’azione, le diversità e il dibattito sociali – ha detto a Mediapart —. Attraverso le intercettazioni generalizzate, questo progetto punta a rendere la società trasparente di fronte al potere».