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 2015  aprile 17 Venerdì calendario

Il silenzio, il più grande complice del genocidio. Dallo sterminio degli Khmer all’eccidio in Ruanda, tutte le volte che gli Stati non hanno invocato la Convenzione Onu. Così l’intento di distruggere un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso» resta impunito

Nel 1935 Bertolt Brecht, intervenendo al Congresso internazionale degli scrittori a Parigi, lanciò il suo j’accuse: «Quando i delitti si moltiplicano, diventano invisibili. Quando le sofferenze diventano insopportabili non si odono più grida. Si uccide un uomo: e chi guarda perde le forze. È naturale sia così. Quando i crimini vengono come pioggia, nessuno più grida: basta». Pochi anni dopo l’ebreo Raphael Lemkin scappò dalla Polonia invasa dai nazisti. Da ragazzo aveva provato orrore ascoltando i racconti sul massacro degli armeni, ora era lui in fuga. Quando i lager vennero «liberati», fece la conta dei suoi morti, 49 familiari uccisi nell’Olocausto. Raphael, fuggito in Svezia, si laureò in legge e nel 1944 coniò un neologismo destinato a entrare nella storia della giustizia mondiale: genocidio, dal greco ghénos – razza, stirpe – e il latino caedo, uccidere.
Lo sterminio del nemico non è una prerogativa della modernità. Fin dagli albori dell’umanità era pratica comune per i vincitori di una guerra uccidere gli uomini delle popolazioni conquistate e violare le loro donne. È soltanto a metà del secolo scorso, dopo il processo di Norimberga, che s’afferma l’ideale di una giustizia universale, prende corpo un «diritto delle genti» e il genocidio assume ufficialmente il rango di crimine, da perseguire. «Per i morti e per i vivi, dobbiamo testimoniare», incitò Elie Wiesel.
Non sempre giustizia c’è stata. O ci sarà. Soprattutto quando l’eccidio scompare in fretta dai riflettori dei mass media, perché perso in qualche angolo remoto del pianeta o nei cassetti chiusi della politica mondiale. È accaduto con gli hutu del Burundi, sul cui sterminio nei primi anni ’70 non è mai stato aperto un giudizio. Rischia di avvenire in Sudan, per le stragi commesse dalle milizie janjaweed contro i civili in Darfur.
In base alla Convenzione Onu del 1948, oggi ratificata da più di 145 Stati, il genocidio comprende una serie di azioni «commesse con l’intento di distruggere, interamente o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso». Nessuno Stato ha però invocato la Convenzione mentre i khmer rossi sterminavano 1,7 milioni di persone (e la Cambogia aveva aderito al trattato fin dal 1950!). E poco o nulla ha fatto la comunità internazionale per fermare eccidi più recenti, come quello avvenuto nel 1994 in Ruanda contro la minoranza tutsi. Il «complice silenzio» descritto da Brecht – e temuto dal Papa – è destinato a ripetersi ancora?