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 2015  aprile 10 Venerdì calendario

Dello scrivere correttamente in italiano, esercizio spesso poco interessante e repellente. Basterebbe rileggere Roland Barthes: «Poco più di cent’anni fa, in genere gli scrittori ignoravano che esistessero più maniere - e assai diverse - di parlare il francese»

Ero al mare, per Pasqua, mi ha chiamato un mio conoscente che non sentivo da mesi e mi ha detto, tra le altre cose, che aveva parlato di me con uno scrittore romano e che questo scrittore romano gli aveva detto che io, secondo lui, dovrei scrivere in italiano. Cioè, i miei libri, secondo questo scrittore romano, sarebbe bene che io li scrivessi in italiano, mi ha detto questo mio conoscente per Pasqua.
Che io, la mia reazione non è stata di dirgli che io scrivo già, in italiano, è stata di dirgli che lui, quello scrittore romano, se vuol scrivere in italiano ci può scrivere lui, io non voglio, scrivere in italiano. Che a pensarci è stata una reazione simile a quella di una bambina di dieci anni che ha l’avventura di esser mia figlia che quando di anni ne aveva due e ha scoperto che era italiana la sua reazione era stata: «Io non sono italiana, io non voglio, essere italiana».
E quando è finita quella telefonata con quel mio conoscente mi è venuto in mente di una volta che ho sentito il mio amico Daniele Benati che, in una relazione dove parlava di lingua scritta e lingua parlata, citava la prima frase di un romanzo che ho scritto, che si intitola La banda del formaggio, frase che è pronunciata dal protagonista del libro, che si chiama Ermanno Baistrocchi, e che dice: «Ma quelli che scrivono sopra ai giornali, non gli capita mai che gli viene il dubbio che quello che scrivono son delle cagate?». In quella relazione, Daniele aveva poi trasformato quella prima frase della Banda del formaggio in una frase grammaticalmente corretta che era, se ho trascritto bene: «Ma ai giornalisti, non capita mai che sorga il dubbio che i loro articoli siano assurdità?».
Ecco. Questa seconda frase, cioè la variante in italiano corretto della prima frase della Banda del formaggio, è una frase che io non scriverei mai, e che mi sembra non solo poco interessante, repellente, proprio, e che mi rimanda a un personaggio non solo poco interessante, repellente, proprio, mentre molto interessante e attraente mi sembra la voce che pronuncia la prima frase, quella scorretta, cioè la voce di Ermanno Baistrocchi, praticamente.
Proprio in quei giorni di Pasqua, avevo con me un libro di Roland Barthes che si intitola Il grado zero della scrittura, dove c’è un saggio che si intitola «La scrittura e la parola», scritto agli inizi degli anni ’70, che comincia così: «Poco più di cent’anni fa, in genere gli scrittori ignoravano che esistessero più maniere – e assai diverse – di parlare il francese».
Ecco. E niente. Questo succedeva per Pasqua. Dopo, per Pasquetta, a tornare a casa in treno, la bambina di dieci anni che ha l’avventura di esser mia figlia voleva giocare con il mio telefono, solo che era scarico e le ho detto di no. Mi succede raramente, di dirle di no, lei si vede ci è rimasta male, mi ha detto che non sapeva cosa fare. Io le ho detto che poteva leggere. Lei mi ha detto che a leggere le veniva il mal d’auto. Io le ho detto che se le veniva il mal d’auto in treno la portavo in ospedale, che aprivano un protocollo internazionale e che sarebbe stata l’unico caso al mondo. Lei mi ha detto che forse non le veniva, a pensarci. E è finita così.