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 2015  aprile 01 Mercoledì calendario

L’abilità di Paolo Rebaudengo è stata quella di scegliere il teatro della battaglia in Fiat: non la mitica Mirafiori ma la decentrata Pomigliano. Appunti sul saggio “Nuove regole in fabbrica”, appena pubblicato dal Mulino

Lo confesso, per tutta la vita ho avuto un atteggiamento di sufficienza verso quelli che scrivevano sui giornali o pontificavano nei talk show, trattando il tema Fiat. Puro snobismo il mio, tipico di chi avendola “posseduta”, ed esserne stato “posseduto” (con reciproco piacere) non accetta l’intrusione di terzi verso l’amata, santa o puttana che fosse.
Finalmente, è stato pubblicato un libro (“Nuove regole in fabbrica”, Mulino) di Paolo Rebaudengo: 100 pagine, 25 sono di Giuseppe Berta per l’introduzione. Una notazione personale. Paolo entrò giovanissimo in Fiat (1973), nel ’75 fu creata la Sub-Holding Fiat Componenti (42.000 dipendenti), io ne divenni il direttore Personale e Organizzazione, con Paolo lavorammo insieme per un quinquennio. Le nostre strade si separarono per una decina di anni, poi vivemmo insieme l’affascinante caso New Holland.  Per tutta la vita Paolo si è occupato di relazioni industriali, salendo la scala gerarchica passo dopo passo, fino alla suprema magistratura della “funzione”. Quando sento i vertici della politica, dei media, degli esperti, usare il termine “rotazione” per le posizioni apicali mi chiedo se sono idioti di loro o per interposta persona: i grandi professionisti di una funzione sono un dono, devono essere mantenuti nella posizione fin che è possibile. Fiat si comportò così, i CEO passano, i responsabili delle relazioni industriali devono restare.
La Fiat ha “insegnato” a Confindustria e al Paese le relazioni industriali, eppure al vertice della funzione (via via mutata), in 70 anni, si sono succeduti solo tre responsabili, Vittorio Valletta (mai volle delegare alcuno, a differenza di tutti i suoi successori), Cesare Annibaldi, Paolo Rebaudengo. Quella con i Sindacati per Fiat è stata una lunga guerra di posizione, con alcune battaglie campali, sempre vinte da Fiat. Quelle di Valletta furono l’equivalente delle guerre puniche per Roma, nel 1980, con Cesare Annibaldi in cabina di regia, il Sindacato ne uscì sconfitto, e con lui il PCI di un risibile Berlinguer barricadero, ma le regole del gioco rimasero le stesse di prima. Nella battaglia campale del 2010, con Paolo Rebaudengo in cabina di regia, invece il Sindacato fu doppiamente sconfitto (Rebaudengo, essendo uomo di raffinata eleganza intellettuale, lo negherebbe) perché dovette subire il cambiamento delle regole. Una precisazione personale, che so assolutamente non condivisa: nel mondo metalmeccanico l’unico interlocutore che ho sempre riconosciuto è la Fiom, le altre organizzazioni gialle-bianche-rosa, seppur maggioritarie, hanno sempre avuto un ruolo ancillare al “padrone”. La grande abilità di Rebaudengo è stata quella di scegliere come campo di battaglia, non la mitica casa padronale, Mirafiori, ma un terreno lontano, il “cacanido” degli stabilimenti italiani, Pomigliano. Chapeau!
Paolo Rebaudengo ha un brutto carattere, difficile anche per i suoi amici, non perdona nulla a nessuno, soprattutto a se stesso, come succede a chi conosce perfettamente l’impatto delle sue decisioni sulla vita di centinaia di migliaia di famiglie (nessuna altra funzione aziendale ha lo stesso impatto). Il libro è bellissimo, è scritto con lo stile asciutto e sobrio in cui i generali romani raccontavano le loro battaglie, ha il ritmo di un giallo, non un vocabolo di troppo, non un verbo fuori posto.
Poiché in una recensione occorre pure indicare almeno una carenza, eccola: in termini intellettuali e professionali bisogna riconoscere che la controparte non era alla sua altezza. Maurizio Landini non ha capito quale era la vera strategia di Marchionne (non è possibile qua indicarla per ragioni di spazio, nel mio ultimo libro mi ci sono dilungato) e sottovalutato la determinazione di Rebaudengo nel definire un nuovo modello di relazioni sindacali, simile a quello francese (comité d’entreprise) che avrebbe messo in crisi le burocrazie dei Sindacati e di Confindustria, immersi com’erano nel più bieco consociativismo. L’errore di Landini è stato di metterla sul piano tattico, l’unico che conosce, mentre lo scontro aveva una valenza esclusivamente strategica. Le relazioni sindacali richiedono tanta cultura, tanta professionalità tecnico-giuridica, etica, soprattutto silenzio. Rebuadengo mai disse una parola, mai sorrise, cinque anni dopo descrive con sobrietà, quasi banalizzando, la sua grande vittoria, un esempio unico nel buffo mondo del management e della politica, sempre più simili.
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