Corriere della Sera, 1 aprile 2015
Quell’immagine del guerrigliero-brigatista turco con il volto seminascosto da un fazzoletto rosso, che minaccia di uccidere il magistrato-ostaggio puntandogli la canna della pistola alla tempia, evoca timori, suggestioni, e stimola la volontà di sfogliare immediatamente l’album della memoria
A noi italiani non più giovanissimi, quell’immagine del guerrigliero-brigatista turco con il volto seminascosto da un fazzoletto rosso, che minaccia di uccidere il magistrato-ostaggio puntandogli la canna della pistola alla tempia, evoca timori, suggestioni, e stimola la volontà di sfogliare immediatamente l’album della memoria.
Di estrema sinistra, conclamata e garantita, sono i brigatisti del gruppo Dhkp-C (Fronte rivoluzionario di liberazione del popolo), che hanno sequestrato il procuratore Mehmet Selim Kiraz, il magistrato che condusse l’inchiesta sui gravi incidenti di Gezi Park, a Istanbul. E che indagò sulla morte del quindicenne Berkin Elvan, che passava per caso sul luogo degli scontri: ferito alla testa da una capsula di gas lacrimogeno sparato dalle forze di sicurezza, e morto dopo oltre un anno di agonia. Di estrema sinistra, nel logico accostamento d’immagine, erano i brigatisti rossi che rapirono, a Genova, e sottoposero al giudizio del cosiddetto «tribunale del popolo», Mario Sossi, pubblico ministero nel processo alla banda XXII Ottobre, agli albori della stagione che poi si trasformò nella notte dalla Repubblica.
Le analogie sono tante e la percezione accosta le due immagini quasi a confonderle. Le differenze sono appunto minime, perché i rivoluzionari turchi di estrema sinistra sono un gruppo terrorista riconosciuto, proprio come lo erano le Brigate rosse italiane di allora, prima che la sintesi rivoluzionaria tra i cattolici estremisti che avevano studiato sociologia all’Università di Trento e i comunisti duri e puri della bassa reggiana, stretti in un patto comune, venisse alterata e manipolata da infiltrazioni, manovre, misteri e segreti inconfessabili che hanno punteggiato per oltre un ventennio la vita del nostro Paese.
Anche in Turchia il ricordo del terrorismo più feroce, quando negli anni 70 i fanatici del Dev Sol di estrema sinistra affrontavano, con scontri estremamente sanguinosi (migliaia di morti) l’estrema destra ultranazionalista, provoca un’immediata reazione emotiva. Tutti ricordano che in quegli anni, il lupo grigio Mehmet Alì Agca, killer turco su ordinazione, sparava e uccideva il direttore del Milliyet Abdi Ipekci, preparandosi a colpire l’obiettivo più alto, Giovanni Paolo II. E tutti sanno bene che quegli anni di estrema violenza provocarono l’ultimo colpo di stato militare, guidato dal generale Kenan Evren, il 12 settembre 1980. Per ritrovare poi la strada della democrazia si dovettero attendere oltre quattro anni.
Adesso, però, c’è qualcosa di diverso. Se negli anni 70 la gente, terrorizzata, si barricava in casa, ieri numerosi dimostranti si sono riuniti davanti al palazzo di giustizia di Istanbul, luogo del sequestro, per inneggiare al martire Berkin, il quindicenne ucciso, accusando più o meno indirettamente i legami poco chiari tra politica e giustizia. Quindi sostenendo, e non condannando l’azione terroristica del Fronte rivoluzionario. Non è difficile spiegarlo, perché la rabbia di una parte della gente, soprattutto dei più giovani, è indirizzata contro le violenze, decise dal vertice del Paese, e approvate dall’allora premier e oggi presidente Recep Tayyip Erdogan, di soffocare con qualsiasi mezzo la protesta giovanile per la distruzione di Gezi Park. Non solo. Nel gruppo rivoluzionario che ha sequestrato il giudice, gruppo che si è formato nel 1994 da una costola del Dev Sol, vi sono anche alcuni estremisti curdi ed alevi. Passaggio importante, perché gli alevi, che in Turchia sono circa 9 milioni, sono legati da una stretta parentela religiosa con gli alauiti siriani, quindi la setta sciita che a Damasco è guidata dal presidente Bashar al Assad, che il sunnita Erdogan vorrebbe abbattere.
La stragrande maggioranza degli alevi rappresenta in sostanza parte della laboriosa élite medio-borghese e intellettuale della Turchia europea costiera, che non ama certo lo strapotere del presidente della Repubblica e la sua arroganza. Gli estremisti alevi sono invece una micro-minoranza, risvegliata e resa più aggressiva da voci che vorrebbero gli alevi non soltanto tra i più colpiti nella repressione per Gezi Park, ma anche fra i dirigenti della polizia e i magistrati trasferiti per ordine dell’esecutivo.