il Fatto Quotidiano, 1 aprile 2015
Benzina, la guerra (italiana) dei prezzi: Regione che vai tariffa che trovi. Crisi e petrolio abbondante hanno moltiplicato i distributori indipendenti e la fuga continua dai grandi gruppi
La Basilicata ospita il più grande giacimento petrolifero d’Europa, ma ha i carburanti tra i più cari d’Italia. I più economici sono in Veneto, in testa per numero di distributori indipendenti, che praticano prezzi più bassi anche nelle altre regioni. Le cosiddette “pompe bianche” sono una realtà in crescita in un settore maturo, quello della distribuzione, in cui negli ultimi anni le compagnie storiche hanno perso soldi e quote di mercato e la concorrenza – che alcuni accusano di sconfinare a volte nel “nero” – si fa ogni giorno più aspra.
Un quadro dettagliato dello stato della distribuzione italiana è disponibile da alcune settimane, grazie ai prezzi di oltre 19 mila punti vendita nazionali, almeno il 90% del totale, pubblicati dal ministero dello Sviluppo economico sul sito dell’Osservatorio prezzi – in attuazione di una norma sulla trasparenza del 2009 – e che il giornale specializzato Staffetta Quotidiana elabora quotidianamente.
La geografia italiana dei prezzi
Una delle ultime “fotografie”, aggiornata al 26 marzo, evidenzia un prezzo medio nazionale in modalità self service di 1,578 euro per la benzina e 1,443 per il diesel. Le medie nazionali nascondono però differenze molto forti a livello locale. Tra la regione più economica, il Veneto, e le più care, il Molise per la verde e la Basilicata per il gasolio, corrono molti centesimi di euro: rispettivamente 9 e 8 circa che salgono a oltre 13 se si considerano le medie provinciali.
In pratica giovedì scorso fare il pieno di benzina nella Regione del nord-est costava meno di 108 euro, poco di più in Emilia Romagna e Lombardia, circa 6 euro in meno che nelle regioni più care, nell’ordine Molise, Liguria, Calabria e Basilicata. Più o meno la stessa cifra risparmiava per il pieno di diesel l’automobilista veneto, con 99 euro, rispetto ai 105 di quello lucano. Il risparmio nelle due province più convenienti, Rovigo e Biella sale rispettivamente a circa 9,5 e 7 euro rispetto alle due più care, Vibo Valentia e Ogliastra.
La presenza di distributori indipendenti è tra i principali fattori dietro i prezzi più bassi. Come si vede nella tabella, se lunedì i prezzi delle maggiori compagnie tradizionali oscillavano tra 1,565 cent di Shell e i 1,595 cent di IP per la verde e tra gli 1,430 di Shell e gli 1,460 di IP per il gasolio, la media delle pompe bianche scendeva rispettivamente a 1,541 e 1,410, con punte ancora inferiori presso gli impianti della grande distribuzione organizzata (vedi Auchan) o singoli operatori indipendenti.
Tutto ciò si ripercuote sui prezzi medi, con le regioni con la più alta concentrazione di “bianchi” che risultano anche quelle più convenienti.
Ma quanto pesano gli indipendenti sul totale? Dei circa 20 mila impianti presenti in Italia, più o meno la metà sono di proprietà delle compagnie. La restante metà è dei cosiddetti retisti, operatori della distribuzione più o meno grandi (si va dal singolo punto vendita a oltre 200). Dei diecimila punti vendita dei retisti, poco meno di 7 mila sono convenzionati con le compagnie: ne espongono i marchi e ne acquistano i carburanti con vincolo di esclusiva.
La restante parte, poco più di tremila, sono pompe bianche, ovvero impianti con un marchio proprio. Dal 2010 a oggi il loro numero è raddoppiato, addirittura triplicato rispetto a un decennio fa, e sono oggi cumulativamente la seconda forza nel Paese: in tutto circa 3.300 impianti o il 17% del totale, dietro a Eni, che nel database Mise ne conta oggi circa 4.000, e davanti a Q8/Shell (2.900), IP (2.650), TotalErg (2.400), Esso (2.250) e Tamoil (1.400).
Il boom è figlio di un mercato da tempo caratterizzato da consumi in calo, complici anche la crisi e la crescente efficienza delle automobili. La nascita di grandi raffinerie nel medio ed estremo Oriente e il potenziamento degli impianti negli Stati Uniti ha inoltre eroso spazi alle esportazioni dei raffinatori italiani, un tempo fornitori privilegiati della Germania e degli stessi Usa. Il surplus di produzione si è così riversato sul mercato nazionale.
Ecco perché gli indipendenti spuntano come funghi
La sovrabbondanza di prodotto ha spinto sempre più retisti a “mettersi in proprio”: negli ultimi anni un numero crescente di operatori ha sciolto le convenzioni (spesso molto onerose) con le compagnie ed è andato in cerca, di settimana in settimana, di nuovi fornitori. In questo modo gli indipendenti, grazie anche a strutture spesso più snelle ed efficienti delle compagnie, hanno saputo sfruttare l’abbondanza di offerta per ottenere migliori prezzi di fornitura che gli permettessero di fare sconti aggressivi ed erodere spazi agli operatori storici. Così, tra il 2011 e il 2013, le compagnie hanno “perso” circa 1.800 punti vendita, tra impianti chiusi e convenzioni sciolte.
La controffensiva dei grandi marchi: guerra con i “super-sconti”
I grandi operatori come Eni, IP, Q8, Esso, Tamoil insomma vedono sempre più ridursi le rispettive fette di mercato nella distribuzione a scapito delle pompe bianche. Il paradosso è che mentre con la mano destra cercano di rispondere alla concorrenza degli “indipendenti” abbattendo i costi con quote crescenti di self service e automatizzazione o, più di recente, puntando sul valore aggiunto della modalità servito, con la sinistra sono loro stessi a fornire benzina e gasolio agli indipendenti. Si tratta di un processo che si autoalimenta: i bassi prezzi delle pompe bianche fanno lievitare i loro volumi di vendita, il che a sua volta induce le compagnie e gli altri fornitori a fare a gara per rifornirle, facendo calare ulteriormente i prezzi. Tanto in basso che da qualche tempo c’è chi ha iniziato a lanciare (non troppo) velate accuse di irregolarità. Di certo c’è che dai dati Mise emerge un numero limitato ma non trascurabile di impianti – in tutto un centinaio, sia di indipendenti che di compagnie e soprattutto in Veneto e Abruzzo – che vendono a prezzi apparentemente incompatibili col benchmark di mercato, il cosiddetto Platts, tradizionalmente considerato specchio fedele delle quotazioni all’ingrosso. Il sindacato dei benzinai Fegica in febbraio ha definito “alterati” (sic) i prezzi di uno di questi impianti “sottocosto”, segnalando la cosa anche alla Guardia di Finanza. Se però è verosimile che in qualche caso i prezzi stracciati possano spiegarsi col “nero” è altrettanto vero che con il crollo dei consumi e l’abbondanza di offerta il mercato è cambiato, diventando sempre più del compratore. La concorrenza insomma, almeno in certa misura, sta giocando davvero a favore del consumatore.