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 2015  aprile 01 Mercoledì calendario

Usa, la possibile discesa in campo di Elizabeth Warren, l’arcinemica delle istituzioni finanziarie. Cosa che piace ai repubblicani («è facile da accusare di bolscevismo»), innervosisce i banchieri (pronti a tagliare i fondi ai dem) e agita la Clinton (non più sola nella corsa alla Casa Bianca). I Lib dem la vorrebbero per costringere Hillary a virare la sua politica economica a sinistra

La donna che di questi tempi agita i democratici, che fa sognare i repubblicani, che innervosisce i banchieri, della quale i nerd della politica americana discutono nonstop, non si chiama Hillary Clinton. Si chiama Elizabeth Warren; ha 66 anni; fino a due anni fa era professore di diritto; sette anni fa ha fondato su incarico di Barack Obama il Consumer Financial Protection Bureau; sei anni fa non ne è diventata il capo perché i grandi della finanza hanno messo il veto su di lei e Obama si è arreso; dal 2012 è senatore del Massachusetts; dal novembre 2014, dal tracollo elettorale dei democratici nelle elezioni di midterm, è una specie di Madonna pellegrina dei liberal e non solo. Lei, Warren, nata povera in Oklahoma, sposata giovane, madre presto e per un po’ casalinga disperata, diventata giurista prima in Texas e poi a Harvard, è l’arcinemica delle istituzioni finanziarie; e le accusa di aver impoverito milioni di americani traendone grandi profitti. È la «populist candidate» che i «lib dem» vorrebbero si candidasse alle primarie; magari non per vincere, per costringere Hillary Clinton, centrista in ottimi rapporti con Wall Street, a virare a sinistra sulla politica economica. È la candidata presidenziale a sorpresa che i repubblicani vorrebbero: facile da accusare di bolscevismo, utile per attrarre ancora più finanziamenti elettorali da banchieri e grandi imprenditori.
I quali, al momento, minacciano di de-finanziare. Venerdì scorso, riferisce l’agenzia Reuters, rappresentanti di Goldman Sachs, Citigroup, JPMorgan e Bank of America si sono riuniti per «discutere su come ammorbidire» Warren. E su come convincere i colleghi democratici a non appoggiarla nelle sue battaglie al Senato, sospendendo i contributi alle loro campagne elettorali. Altri democratici, senza cariche elettive ma influenti, come l’ex segretario al Lavoro Robert Reich e il super-esperto di diritto e nuove tecnologie Lawrence Lessig, insistono perché Warren si presenti alle primarie. E ora, ovunque Warren vada, le chiedono se lo farà o no. Lei nega. Nonostante neghi, è stato creato il comitato Run Warren Run, «corri Warren corri»; primo grande evento previsto il 20 aprile a New York, con Lessig e altri.
E Warren continua a dire no, ma a farsi vedere molto, in tv e altrove. L’altro ieri, a Boston, all’inaugurazione della fondazione dedicata a Ted Kennedy, ha tenuto un discorso appassionato e molto ben preparato. Ha parlato del declino della classe media americana, del salario minimo, dell’assistenza medica. Ha raccontato la Washington «che funziona solo per i ricchi, la capitale delle lobby, degli accordi sottobanco, dei favori». Ha attaccato la deregulation finanziaria opera dell’amministrazione Clinton (Bill). Il video è stato molto condiviso e molto twittato. Soprattutto da repubblicani, in effetti (i democratici, salta agli occhi scorrendo Facebook e Twitter, preferiscono condividere interviste in cui Warren dice a Hillary cosa fare; è un segnale, anche questo, va da sé).