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 2015  aprile 01 Mercoledì calendario

Unipol, confermata la prescrizione per i Berlusconi. La Cassazione ribadisce il verdetto per l’utilizzo della telefonata (non depositata) con Consorte

La pubblicazione di intercettazioni non depositate e non rilevanti penalmente, l’uso della giustizia contro l’avversario politico, la certezza della pena minata dalla prescrizione: i tre totem dell’attualità politico-giudiziaria sono riassunti nella sentenza con la quale ieri la Cassazione ha confermato la prescrizione della condanna a un anno inflitta a Silvio Berlusconi in tribunale nel 2013 e in Appello nel 2014 per «concorso in rivelazione di segreto d’ufficio». Anche la Suprema corte, nel ribadire la condanna dell’ex premier a risarcire con 80.000 euro Piero Fassino parte civile con il professor Carlo Federico Grosso, ritiene che alla vigilia del Natale 2005 «un editore» (Paolo Berlusconi, pure beneficiario della prescrizione della pena di 2 anni e 3 mesi), e «un premier a capo della parte politica avversa a quella di Piero Fassino» (appunto Berlusconi), abbiano «sfruttato politicamente» per «peculiare interesse in quel periodo elettorale», facendola pubblicare sul loro quotidiano Il Giornale diretto da Maurizio Belpietro, una delle 13.000 telefonate intercettate in estate da pm e Gdf milanesi nell’inchiesta sulla scalata di Fiorani alla Banca Antonveneta: l’estrapolazione «allora abbiamo una banca?» tra l’allora segretario ds e l’allora numero uno di Unipol. L’intercettazione, penalmente non rilevante ma di grande interesse giornalistico e dunque certamente da pubblicare una volta depositata agli atti, in quel momento invece era ancora segreta, non solo non depositata ma nemmeno trascritta o riassunta nei brogliacci: esisteva solo nel file audio che Roberto Raffaelli, infedele manager (20 mesi patteggiati) della società privata Research control system autrice dell’intercettazione il 18 luglio 2005 per conto dei pm di Milano, 5 anni dopo ammise di aver trafugato dai computer e portato come «regalo di Natale» ai fratelli Berlusconi ad Arcore, alle 7 di sera del 24 dicembre 2005, in compagnia di un amico di Paolo, l’imprenditore Fabrizio Favata (30 mesi in Appello). In tribunale Berlusconi si proclamò «assolutamente contrario alla barbarie delle intercettazioni», garantendo «che mai avrebbe potuto consentire di ascoltarne una in casa sua».
Ma le sentenze ora confermate dalla Cassazione, incrociando le pur reticenti versioni dei protagonisti, concludono che «quella sera la registrazione fu ascoltata attraverso il pc, senza addormentamento da parte di Berlusconi o inceppamento del pc» accreditati da Raffaelli.
«All’incontro, su richiesta di Favata, Raffaelli si presentò con il suo pc, dunque nella chiara prospettiva dell’ascolto della telefonata» con «grave illecito penale», evidentemente «contando sull’assenza di rischio di essere denunciato in caso di rifiuto». Inoltre «lo stesso Paolo Berlusconi ha riconosciuto d’aver chiesto a Raffaelli la telefonata dopo l’incontro». E sia per Raffaelli sia per Favata (secondo cui Berlusconi promise «eterna gratitudine»), «Paolo si rivolse a Raffaelli dicendogli “fai sentire quella cosa”: frase francamente strana ove Silvio fosse stato ignaro». L’incontro costituì «il passaggio necessario» per la pubblicazione, «operazione mediatica» così «efficace» nella sua «suggestività» da essere rimasta «significativa della capacità della sinistra di “fare affari” con i poteri forti, in aperto contrasto con la tradizione storica, se non di quel partito, quantomeno dell’orientamento del suo elettorato».