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 2015  aprile 01 Mercoledì calendario

In Nigeria torna presidente l’ex golpista Muhammadu Buhari. Il musulmano batte il favorito Jonathan: linea dura su Boko Haram

Quando nel 2011 Muhammadu Buhari aveva annunciato la sua quarta candidatura in altrettante campagne presidenziali, sul volto di Goodluck Jonathan, l’ormai ex presidente della Nigeria, era apparso un sorriso compassionevole. Nessuno si sarebbe aspettato che «l’eterno perdente», etichetta affibbiatagli per essere stato sconfitto nel 2003, 2007 e 2011, avrebbe avuto alcuna chance di vittoria. Di certo non Jonathan, sicuro che il finanziamento degli uomini d’affari nigeriani e una milionaria campagna elettorale fossero chiavi più che sufficienti per tenere a bada «l’eterno perdente».
Buhari ha stravinto le elezioni, sfondando nelle roccaforti del Sud cristiano di Jonathan, lui che è un musulmano del Nord. Un risultato di portata storica perché, in Nigeria, dall’avvento democratico (1999) aveva vinto sempre e solo il Pdp. Il 72enne dello Stato di Katsina, estremo Nord del Paese, lo ha fatto costruendo un partito, l’Apc (All Progressives Congress) che quattro anni fa non esisteva e, oggi, è il primo del Continente nero per numero di votanti. Tutto questo con la pesante eredità di aver già governato la Nigeria (gennaio 1984-agosto 1985) grazie a un golpe militare e la nomea di essere «un generale di ferro», ma un «pessimo economista».
Ex dittatore
Non un punto a favore per chi deve guidare la prima economia africana. Il suo essere un musulmano convinto, tanto da aver appoggiato l’introduzione della sharia (legge islamica) in molti Stati del Nord del Paese, rappresentava un altro spauracchio per i milioni di cristiani che vivono nel Sud dello Stato africano, già abbastanza preoccupati dalle torture subite dai loro fratelli ad opera di Boko Haram. Eppure, i nigeriani, tra un ex-dittatore, reo di non aver brillato per rispetto dei diritti umani, e un «presidente fallito», come Jonathan è stato apostrofato da «The Economist», hanno deciso di dare una chance al primo.
Una votazione in parte trasformatasi in un referendum sull’operato dell’ex presidente, accusato, soprattutto al Nord, di essersi disinteressato dei migliaia di morti uccisi da Boko Haram. Punito per non essere stato in grado di fermare una corruzione dilagante che ha fatto sì che tutte le entrate delle risorse petrolifere del Delta del Niger (Sud), non venissero ridistribuite equamente nel Paese. Tanto che, anche durante lo spoglio dei voti, milioni di persone sono rimaste al buio per l’assenza di una rete elettrica degna di uno Stato membro del G20.
La lotta contro i terroristi
Adesso bisognerà vedere se «il signore della disciplina», come è soprannominato Buhari, sarà in grado di rispettare le promesse. A cominciare dalla lotta contro Boko Haram, indebolitosi nelle ultime settimane, ma ancora forte. Gli toccherà anche far ripartire l’economia, non di certo con le politiche protezionistiche adottate negli Anni 80 che avevano fatto chiudere numerose attività e fatto perdere posti di lavoro.
Il compito più difficile sarà mantenere la pace sociale, soprattutto nel Sud, cristiano e ricco, regione da cui derivano il 70% degli introiti del Paese grazie ai pozzi petroliferi. Un’impresa non facile perché i guerriglieri del Delta del Niger, che avevano raggiunto un’amnistia con l’ex presidente Jonathan ricevendo parte delle royalty sull’estrazione dell’oro nero, avevano affermato che, in caso di vittoria di Buhari, avrebbero ripreso le armi. Buhari non sembra voler scendere a patti, ma di certo quello di cui la Nigeria non ha bisogno è l’apertura di un secondo fronte di guerriglia, oltre a Boko Haram.