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 2015  marzo 31 Martedì calendario

Berlusconi chiede il 2 per 1000 ai deputati. Forza Italia annega nei debiti: il Cav. a caccia di fondi

La buona notizia è che Silvio Berlusconi ha devoluto il due per mille della propria dichiarazione dei redditi a Forza Italia. Il che significa qualche centinaia di migliaia di euro. La brutta notizia è che il suo gesto di generosità rimane pur sempre una secchiata d’acqua tolta dal mare di debiti in cui affoga il partito. Certo, se parlamentari, dirigenti e quadri azzurri seguissero l’esempio del capo sarebbe un altro discorso. Ma con l’aria che tira in Forza Italia, vatti a fidare. Sicuramente il partito non avrà il due per mille dei fittiani se in Puglia l’ex ministro non otterrà una congrua presenza nella lista elettorale: 15 su 50 devono essere i candidati di Fitto, questa è la richiesta. Altrimenti correrà da solo. E ora la parola sta a Berlusconi: insistere lungo la strada del «rinnovamento» o venire a patti con i ricostruttori?
Nel dubbio, gli unici sorrisi arrivano dalla Francia. Anche se è difficile gioire per le vittorie di Nicolas Sarkozy. Personaggio che si è reso odioso agli occhi degli azzurri per quel risolino sfuggito alle spalle di Berlusconi mentre si dava di gomito con la cancelliera Merkel. Eppure in Forza Italia devono ammettere che il modello è quello: la destra moderata francese. In un immaginario parallelismo tra il caso francese e quello italiano, se la Lega sta al Front National di Marine Le Pen, Fi sta all’Ump e i centristi dell’Udf al Nuovo centrodestra di Alfano. I transalpini insegnano che l’alleanza vincente sarebbe quella tra Silvio e Angelino. «Il successo del centrodestra in Francia deve far riflettere Forza Italia», dice il vicepresidente del Senato Maurizio Gasparri, «vince un’area moderata che ha fatto della sicurezza e dell’identità nazionale i suoi temi principali». Conferma Mariastella Gelmini: «Dobbiamo restare ancorati al Ppe. Il nostro modello è l’Ump di Sarkozy, non la destra di Marine Le Pen. Con Salvini si può essere alleati, ma non detta lui la linea». Però c’è chi calca le differenze tra Italia e Francia, ricordando che Sarkozy è tutto tranne che un amico di Berlusconi: «Rimango perplessa di fronte alle dichiarazioni di chi lo esalta», dice Licia Ronzulli, membro del comitato di presidenza di Fi, «io non posso dimenticare le responsabilità di Sarkozy nella fase che portò alla caduta del governo Berlusconi, così come la sciagurata campagna in Libia che ci ha regalato l’Isis alle porte e centinaia di clandestini in casa».
Nel frattempo prosegue la telenovela delle alleanze. Con un nuovo aut aut di Alfano. Secondo il ministro dell’Interno non è affatto scontato il sostegno dei centristi a Stefano Caldoro in Campania: «Il ritardo con cui Forza Italia affronta il nodo della Lega rallenta tutto. Attenderemo questa settimana, che è decisiva, poi se Fi deciderà di stare dietro alla Lega, noi prenderemo le nostre decisioni». Ma secondo Mara Carfagna le parole di Alfano non suonano come un ultimatum: «Sarebbe difficile immaginare per i centristi una collocazione al di fuori del centrodestra. In Campania si assumerebbero la responsabilità di interrompere un percorso di coerenza politica».
Intanto si sgonfia l’ipotesi di una candidatura di Silvio Berlusconi a sindaco di Milano quando, nel 2016, la città dovrà scegliere il successore di Pisapia. Una eventualità resa impossibile dalla legge Severino che per sei anni impedisce al Cavaliere di concorrere per qualsiasi carica elettiva. Altro discorso è la questione della irretroattività di quella norma, che, se modificata o dichiarata incostituzionale, potrebbe eventualmente restituire all’ex premier il suo seggio senatoriale. Non la eleggibilità.
Ma per modificare la Severino deve essere d’accordo il Pd. E non c’è nessun ritorno di fiamma all’orizzonte con Matteo Renzi. Anzi: da Forza Italia confermano la linea dura sull’Italicum, a maggior ragione dopo la forzatura annunciata dal premier, che si è detto disponibile a mettere la fiducia sulla nuova legge elettorale per far fronte alle divisioni del suo partito. In Fi non tutti sono sulla linea dura di Renato Brunetta, però. Altri, come Denis Verdini e Paolo Romani (le cui dimissioni da capogruppo in Senato non a caso vengono chieste dai pasdaran berlusconiani), non rinnegano il patto del Nazareno. E chissà se con il voto segreto non avranno la tentazione di dare comunque una mano.