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 2015  marzo 31 Martedì calendario

Henry John Woodcock, il pm sempre a caccia di vip. Indaga sui potenti ma colleziona archiviazioni. Ecco il catalogo dei suoi fallimenti, da Vallettopoli al Savoiagate

La partenza è sempre da prima pagina, fra tuoni e fulmini. La conclusione, il più delle volte, è un’archiviazione formato spezzatino fra le tante procure che puntualmente ereditano i suoi fascicoli. Da Vallettopoli a quello che pomposamente è stato ribattezzato il Savoiagate la parabola delle inchieste condotte da Henry John Woodcock è, se ci è consentito l’aggettivo, mortificante. Assoluzioni ma, in più di un caso proscioglimenti senza nemmeno arrivare a processo, con contorno di risarcimenti per ingiusta detenzione. E il cittadino medio si chiede come sia possibile che ogni volta la montagna partorisca il topolino con il corollario delle umiliazioni, del passaggio in cella poi dimostratosi infondato, delle distruzione di una reputazione poi ricucita da altri giudici.
Prendiamo il Vipgate, un nome che è un programma, il primo grande affaccio, nel 2003, del pm anglonapoletano sulla scena mediatica tricolore. Settantotto indagati, in pratica un concentrato del potere: politici di tutti i colori, da Maurizio Gasparri a Nicola Latorre, il diplomatico Umberto Vattani, il cantante Tony Renis e la conduttrice Anna La Rosa solo per fare qualche nome eccellente. Le accuse sono impressionanti: associazione a delinquere per la turbativa di appalti, corruzione, estorsione e altro ancora. L’Italia trema e scopre che la periferica procura di Potenza può fare molto male. Altri, come Maurizio Gasparri, se la cavano con una battuta: «Potrei dire di trovarmi in compagnia degli invitati alla prima della Scala senza esserci neppure andato». Tony Renis, più preoccupato, mette le mani avanti: «Il mio avvocato mi aveva avvisato: vedrai che prima di Sanremo ti sospetteranno anche per il delitto di Cogne. Quasi ci siamo». La paura dura poco. Il gip di Potenza respinge una quarantina di arresti e si dichiara incompetente, Roma che ha ricevuto le carte, archivia. L’accusa ha fatto cilecca. Panorama ribattezza il pm Woodflop.
È solo il primo giro. Nel 2006 è il principe Vittorio Emanuele di Savoia a finire in manette e nel carcere di Potenza. Un capitolo riguarda la presunta corruzione legata all’installazione delle macchinette per il gioco d’azzardo nei casinò, un’altra pagina racconta lo sfruttamento della prostituzione. La storia millenaria dei Savoia tocca uno dei suoi punti più bassi, l’Italia viene inondata dai nastri. Intercettazioni su intercettazioni. Un classico del metodo Woodcock. E i dialoghi del principe diventano argomento da bar. Poi si ritorna al solito copione: l’incompetenza di Potenza, il trasloco di gran parte dei faldoni a Como e l’archiviazione senza sentenza, senza processo, senza nemmeno una richiesta di rinvio a giudizio. Nulla di nulla.
Va appena meglio con Vallettopoli, altra parata da red carpet di personaggi scintillanti e glamour: la soubrette Elisabetta Gregoraci, Lele Mora, Fabrizio Corona, il portavoce di Gianfranco Fini, Salvatore Sottile, Poi i faldoni vengono spacchettati e prendono direzioni diverse: Roma, Milano, Torino. Nel capoluogo lombardo viene condannato solo Fabrizio Corona, il resto si perde per strada.
Lui si trasferisce a Napoli. E ricomincia ad ascoltare e a martellare. Ma inciampa ancora. Nel 2012, insieme al collega Vincenzo Piscitelli, mette sotto pressione Claudio Scajola per le fregate lanciamissili destinate al Brasile. È l’intrigo degli intrighi: «La madre di tutte le inchieste per corruzione internazionale». Sarà, anche questa volta non si va da nessuna parte. Ma l’industria italiana perde un’altra commessa miliardaria.