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 2015  marzo 31 Martedì calendario

Chi teme l’accordo sul nucleare con l’Iran? Sono sostanzialmente in tre: la maggioranza repubblicana del Congresso, Israele e l’Arabia Saudita. Tre attori che però rappresentano un fronte più vasto

Chi teme l’accordo con l’Iran? Sono sostanzialmente in tre: la maggioranza repubblicana del Congresso, Israele e l’Arabia Saudita. Ma questi tre attori rappresentano un fronte più vasto: il Congresso, come ha dimostrato il discorso di Benjamin Netanyahu il 3 marzo, ha un filo diretto con le lobby ebraiche e anti-iraniane; Israele parla anche per una parte consistente dell’Occidente che diffida della propaganda anti-ebraica dell’Iran; l’Arabia si fa portavoce degli interessi delle monarchie del Golfo e di quel mondo sunnita che comunque dipende per salvare i bilanci dai petrodollari degli emiri.
Questa è una partita dove si scontrano interessi strategici ed economici. Dentro al Cinque più Uno la Francia per motivi di commesse militari e d’affari è incline a esprimere le preoccupazioni dei suoi ricchi clienti sunniti del Golfo. Ma allo stesso tempo invia missioni d’affari a Teheran per approfittare dell’eventuale allentamento delle sanzioni. Lo fa anche l’Italia naturalmente che con l’Iran intrattiene ottimi rapporti diplomatici ma il nostro Paese, pur invitato, rinunciò alcuni anni fa al tavolo negoziale: come dice uno dei responsabili dalla Farnesina «è come aver detto di preferire la Champions League in tv invece di giocarla».
Perché l’amministrazione Obama vuole un’intesa con Teheran? Washington teme che il fallimento dei negoziati possa condurre allo sgretolamento del sistema delle sanzioni e di ogni concreta pressione su Teheran. Russia, Cina, India e alcune nazioni europee hanno accettato di sostenere l’apparato sanzionatorio per arrivare a un’intesa, non perché diventasse permanente.
Israele e il Congresso, dove il Senato si prepara a varare un nuovo disegno legge di misure anti-Teheran, la pensano in modo opposto. Netanyahu, recentemente rieletto, è in rotta con l’amministrazione Obama per la determinazione della Casa Bianca nel voler normalizzare i rapporti con Teheran. Non si può escludere la possibilità che Israele decida, se ritenesse l’accordo con l’Iran insufficiente a prevenire lo sviluppo di un nucleare militare, di bombardare i siti iraniani come già fece con quelli di Saddam Hussein in Iraq nel 1981 o più di recente, nel 2007, in Siria. Ma questa al momento è un’ipotesi contestata all’interno dello stesso Israele e per evitare scenari catastrofici alla fine il governo potrebbe inghiottire il boccone amaro di un accordo. Ma Israele, attraverso il Congresso, non rinuncerà a tenere il fiato sul collo dell’amministrazione Obama sulle sanzioni. Come pure c’è da aspettarsi un aumento di tensione alla frontiera con il Libano perché l’arma iraniana che Israele teme di più non è l’atomica virtuale di Teheran ma gli Hezbollah sciiti che nella guerra del 2006 hanno bloccato l’avanzata dello Stato ebraico.
L’Arabia Saudita è in una situazione ben più delicata. A differenza di Tel Aviv, Riad non ha un arsenale nucleare. E se l’ostilità iraniana verso Israele è soprattutto ideologica e propagandistica, la rivalità tra gli ayatollah e i sauditi – che incendia lo scontro tra sunniti e sciiti in tutta l’area – è molto più profonda a livello strategico e geopolitico. È ben visibile nel conflitto in Yemen, roccaforte di al-Qaeda, dove l’Iran sostiene i ribelli sciiti Houthi ma anche in Iraq e in Siria dove le monarchie del Golfo appoggiano i movimenti radicali sunniti: a fare la guerra al Califfato sono sciiti e curdi, certo non gli Stati sunniti che partecipano ai raid perché lo hanno chiesto gli americani. È possibile che anche se ci sarà un accordo a Losanna le guerre mediorientali continueranno come e forse peggio di prima.