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 2015  marzo 31 Martedì calendario

Il renzismo si è fermato a Eboli e nel suo partito ci si sbrana come si può. Il Pd nel Sud ridotto a un verminaio in cui è impossibile mettere le mani senza sporcarsi

Il nuovo Pd di Renzi si è fermato a Eboli. Anzi, non ha neanche varcato il Garigliano. Più che la minoranza interna, il rischio peggiore per il segretario è questa maggioranza esterna di notabili e cacicchi locali che, soprattutto da Roma in giù, controlla tuttora il partito: un ceto politico rimasto del tutto immune alla cosiddetta «rivoluzione» renziana.
Non si tratta solo della questione morale. Che pure conta. L’ultimo arrestato in Campania, il sindaco di Ischia, non è uno qualunque: è un capo locale, uno capace di prendere 70mila preferenze in tutto il Sud alle Europee fallendo per un soffio l’ascesa a Strasburgo, uno che fino a dieci anni fa stava in Forza Italia, un Nazareno ante litteram nella sua isola, che governava in un patto di ferro con la destra. Più che una devianza, incarna cioè una filosofia politica molto diffusa nel Pd campano, spesso usato come un taxi da chi è a caccia di potere. Vedremo se con lui il segretario sarà inflessibile come con Lupi o flessibile come con De Luca. Conterà molto il clamore mediatico: che in questo caso è assicurato, perché le duemila bottiglie del vino di D’Alema non hanno niente da invidiare al Rolex di Lupi.
Ma prima ancora che morale, il problema è politico. Nel Mezzogiorno Renzi è un estraneo. Ci si fa vedere anche poco, per la verità. E comunque non c’è una regione meridionale dove si possa dire che abbia cambiato verso al suo partito. I governatori e gli aspiranti governatori del Pd sono tutti esponenti di un’altra epoca, che traggono la loro forza dal sistema di consenso costruito sul territorio e che sono al massimo tollerati, non certo scelti, dal centro. Crocetta in Sicilia, Emiliano in Puglia, Oliverio in Calabria, De Luca in Campania: niente di più lontano dalle camicie bianche, l’ e-government e i talk show. E dietro di loro si agita il solito coacervo di potentati locali, neanche correnti si possono chiamare, che non fanno nulla per nulla, piccole aziende il cui core business sono i voti, meglio se con le preferenze. Il Partito democratico nel Sud è spesso un verminaio in cui è impossibile mettere le mani senza sporcarsi: e Renzi non ama sporcarsi. 
Di conseguenza, hic sunt leones, ognuno si sbrana come può. Si spiega così l’impotenza dimostrata nella vicenda De Luca, quando Roma ha dovuto digerire la sua candidatura prima e la sua vittoria alle primarie dopo.
Non è del resto un caso se nel governo non c’è neanche un ministro meridionale, se la questione meridionale è stata ridotta all’utilizzo dei fondi Ue, se a gestirli c’è un signore di Reggio Emilia, se il Pd che va in televisione parla solo con l’accento toscano, o al massimo lodigiano come Guerini. Il Sud è rimasto un grande buco nero della politica italiana, uno spazio vuoto non più riempito né da una idea né da una classe dirigente di peso nazionale. Ed è un grande punto interrogativo sul nuovo Partito democratico di Renzi, ancora troppo diverso dal suo elettorato.