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 2015  marzo 31 Martedì calendario

Dal Medioevo a oggi, il lungo cammino della chiocciola del Web (@). Un saggio ripercorre la storia del simbolo della email. Parente della &, compare per la prima volta nel VIII secolo

Per gli italiani è la chiocciolina, per i russi un cagnolino, i greci ci vedono un papero, i tedeschi una scimmia che afferra un ramo, i coreani un mollusco, i giapponesi un vortice, gli israeliani un dolce arrotolato. Si sta parlando di @ a cui un linguista, Massimo Arcangeli, ha dedicato un breve saggio, Biografia di una chiocciola. Storia confidenziale di @ (Castelvecchi, pp.116, € 16,50). Il suo nome inglese è at ed è diventata famosissima grazie alla posta elettronica. Scrivere @ è come scrivere «presso»; in italiano: c/o. La sua funzione è di separare in un indirizzo di posta elettronica il nome di chi utilizza (user name) da quello del «contenitore» che lo ospita (host name), il cosiddetto «dominio» (domain name). Affinché giunga a destinazione il messaggio che si spedisce, bisogna mettere @.
Amore a prima vista
Si tratta di una convenzione, ovviamente, perché come ha scritto un grande type designer, Gerard Unger in Letters (Amsterdam, 1994), «le lettere sono un accordo tra milioni di persone, segni convenzionali con i quali è possibile un contatto silenzioso». Ma come si è arrivati a questa convenzione? È bastato il gesto di un ingegnere elettronico americano, Raymond Tomlinson, detto Ray, che la vide su una telescrivente. Era un semplice carattere sulla tastiera, poco utilizzato e collocato sopra la lettera P. Ray non sapeva che aveva una storia antica, semplicemente gli piacque e per giunta non la usava nessuno. La telescrivente era un modello della American Telephone and Telegraph (AT&T); ma @ era già in circolazione dal 1882. Lo tirò fuori dal mazzo dei segni, come scrive Arcangeli, e lo espose sulla piazza virtuale nel mese di ottobre del 1971.
Tomlinson lavorava per una società, la Bolt Beranek and Newman, che progettava nuove applicazioni per la Arpa, l’azienda governativa dedita alle nuove tecnologie per uso militare. Come si sa è dalla Arpa che viene Internet. Ray era lì; c’era già il sistema operativo Tenex e le condizioni per comporre un messaggio e recapitarlo alla casella elettronica di vari utenti. Bastava provarci, creare una mailbox e mandare. @ stava a indicare che il destinatario della lettera elettronica era parte di un «luogo» insieme ad altri, ovviamente in un’aerea virtuale esterna del sistema.
Il caso
Ray lo spedì. Su cosa ci fosse scritto in quel primo messaggio, non c’è certezza. Un’opinione che circola sostiene che si trattasse di: QWERTYUIOP. Ovvero la prima fila di maiuscole in alto in una tastiera americana. Tutto fortuito? Sembrerebbe, ma forse non proprio. Intanto @ ha un indubbio fascino estetico. Se guardate la vostra tastiera ci sono solo pochi segni che possono attirare l’attenzione: £ $ % &. Ma sono già tutti e quattro già assegnati. C’è * e anche #, evidentemente Tomlinson non ne fu attratto. Dopo di lui li hanno opzionati le società telefoniche, e #, detto cancelletto, è in procinto di diventare famoso come hashtag, ovvero in Twitter.
Ora @ ha una storia antica. Starebbe per una d stilizzata, preceduta da una a così da tracciare una ad, che viene dall’et latino. Un paleografo americano Berthold L. Ullman all’inizio del Novecento ha sostenuto, documenti alla mano, che questa sia la sua vera derivazione. In effetti uno degli esempi più antichi di @ si trova in un manoscritto merovingio del VIII secolo. La T è completamente sformata, come se il segno consistesse in una sola lettera E ed in una T rovesciata. Pertanto @ non sarebbe che un’altra scrittura di &; entrambe le lettere indicano la medesima cosa: et, la e latina. Forse quello che ha attratto l’ingegner Tomlinson, che come tutti i tecnologici possiede probabilmente una particolare sensibilità per gli aspetti estetici non consueti: la forma arricciata, frutto della fusione di due lettere in un solo tratto calligrafico.
Il ritorno della calligrafia
È curioso, la scrittura elettronica, che per almeno due decenni sembrava aver messo tra parentesi la scrittura a mano, ha ora nel suo cuore uno svolazzo fatto a penna (così come l’unico corso post liceale intrapreso da Steve Jobs è stato quello di calligrafia). &, la e commerciale, in inglese si dice «ampersand», forma contratta di «and per se and», «il simbolo che sta per sé», che Arcangeli rende con «quell’at che da solo significa», essendo & il carattere arrivato per ultimo, e deputato a chiudere la serie della lettere dell’alfabeto.
La pista che connette @ a & è piuttosto interessante. Jean Tschichold, uno dei maggiori teorici della tipografia, disegnatore di caratteri, compagno di avventure grafiche di Schwitters, dadaista e a sua volta inventore di caratteri, ha dedicato un bellissimo saggio alla storia di &: L’evoluzione del segno et, pubblicato nel 1953 a Francoforte sul Meno. Il type designer cita esempi provenienti dai graffiti pompeiani e dai corsivi romani. & è molto antica, ma non ha tanto prosperato. Qualche notorietà l’ha avuta nel Seicento, e il suo secolo d’oro è l’Ottocento e la prima metà del Novecento. Aveva fatto appena in tempo a diventare un segno grafico che veicolava l’idea di «una ditta rispettabile, servizio affidabile» (G. Unger), ed è declinata. Si è conservata solo nell’ambito grafico anglosassone.
Velocità
Tomlinson l’ha vista lì, nella tastiera, sopra il 6, dove si trova ancora oggi. E non l’ha scelta. Le ha preferito la sorella @ nella serie di lettere appena sotto. Sapeva che erano imparentate? Probabilmente no. La parentela calligrafica, se si dà retta a Tschichold, che nel suo saggio fornisce molti esempi di svolazzi e segni, non è solo genealogica, deriva dalla necessità di abbreviare propria degli amanuensi e degli scrivani commerciali: velocità e semplificazione. Questo è anche il demone contemporaneo.
Chissà se Tomlinson ha visto qualcosa d’altro in quelle due lettere l’una dentro l’altra. Unger ha paragonato la & alla cravatta, a quel tocco di fantasia che s’insinua sull’abito borghese. E @? Come mostra Arcangeli ciascuno ci vede dentro quello che vuole. La maggioranza propende per una forma del mondo animale, che guizza verso l’interno o l’esterno, a seconda degli occhi che guardano. Un po’ di natura animale nel mondo tutto virtuale delle comunicazioni.