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 2015  marzo 31 Martedì calendario

Caccia al Dna. In montagna tra le macerie dell’Airbus in cerca di vestiti, documenti, protesi dentarie o impronte digitali. Gli esperti delle Unità Post Mortem della Gendarmeria cercano di dare un nome ai cadaveri. Per ora avrebbero già isolato 78 profili genetici

È un mesto pellegrinaggio quello dei familiari delle 150 vittime sul pianoro di Le Vernet, il punto più vicino al luogo del disastro della tragedia dell’Airbus A320 della Germanwings fatto precipitare dal copilota Andreas Lubitz sulle pareti di roccia del Col du Mariaud.
Brice Robin, il procuratore capo di Marsiglia che coordina l’indagine sulla strage fatta da Lubitz, ha spiegato che è stata ordinata la costruzione di una strada che permetta di raggiungere la zona dove martedì scorso è precipitato il volo 4119525 partito da Barcellona per Düsseldorf con meno difficoltà. «Una via che permetta anche ai mezzi pesanti delle squadre impegnate nella ricerca dei rottami del veivolo e dei resti delle vittime, possano percorrere con maggior speditezza» ha sottolineato.
Nei laboratori mobili della polizia scientifica sistemati a Seyne Les Alpes è iniziata l’opera di identificazione dei primi resti umani trovati sulla montagna. Secondo i giornali tedeschi gli esperti delle Unità Post Mortem della Gendarmeria avrebbero già isolato 78 profili genetici. Patrick Touron, direttore dell’Istituto di Polizia Scientifica impegnato nell’opera di identificazione delle vittime però preferisce non confermare e spiega: «Non abbiamo trovato un solo corpo intatto. E le difficoltà che incontrano le squadre di soccorso data l’asperità della zona dove c’è il continuo rischio di valanghe e di cadute di pietre, rallentano purtroppo le operazioni di ricerca dei resti».
In realtà gli uomini dell’Unità Post Mortem, impegnati nella “caccia ai Dna”, la macabra ricognizione del luogo del disastro in cerca di ciò che resta delle 150 vittime, avrebbero già trovato tra le 400 e le 600 parti di corpi, trasportate a valle dagli elicotteri dell’Armée de terre e affidate ai laboratori mobili della Scientifica. Negli stessi laboratori biologi forensi stanno provvedendo al prelievo di campioni genetici sui familiari delle vittime per poi effettuare le analisi del Dna.
«In realtà l’esame del Dna è l’atto finale del nostro lavoro – ammettono al comando della polizia scientifica francese –. Nell’immediatezza cerchiamo di dare un nome alle vittime con indagini che potremmo definire “ante mortem” cercando ad esempio di farlo attraverso i vestiti, i documenti, le protesi dentarie e addirittura le impronte digitali».
Al Racis dei carabinieri a Roma, da cui dipendono i vari Ris sparsi per l’Italia e nei cui laboratori in questi anni sono state addestrate, grazie all’alto livello di specializzazione raggiunto nell’identificazione dei cadaveri, molte polizie scientifiche di altri paesi tra cui anche quella francese, confermano che l’analisi del Dna è l’ultimo atto del processo di indagine. «Quando inviammo un nostro team ad identificare le vittime dello Tsunami nel 2004 – ricorda il comandante del Racis, colonnello Luigi Ripani – era formato oltre che da un medico legale e da un biolo- go, anche da un esperto di dattiloscopia proprio per effettuare riconoscimenti attraverso le impronte digitali». Nei laboratori mobili installati a Seyne les Alpes, ai parenti delle vittime gli esperti della Scientifica francese stanno chiedendo anche oggetti personali dei congiunti. «Spazzole, indumenti e tutto quello in cui si possano rilevare profili genetici da confrontare con quelli rilevati sui resti recuperati sulla montagna», spiegano i biologi forensi, che aggiungono: «Naturalmente chiediamo anche eventuali panoramiche dentarie, descrizioni di come potessero essere vestiti al momento della partenza dall’aeroporto di Barcellona».
Patrick Touron, responsabile dell’operazione di identificazione dei corpi delle vittime della strage dell’Airbus A320, ammette però che non sarà facile dare un nome ai resti che man mano vengono ritrovati sulla montagna dove si è schiantato l’aereo. «Le loro condizioni sono tali – spiega – che gran parte del lavoro dovrà essere fatta in laboratorio. E questo significa che ci vorranno settimane per aver un quadro certo della situazione».