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 2015  marzo 27 Venerdì calendario

Tutte le cose non avremmo mai saputo se il governo avesse messo il bavaglio sulle intercettazioni. Dalla patonza che deve girare tra Tarantini e Berlusconi al figlio di Lupi, passando per l’Ilva, L’Aquila, i Ligresti e la banca di Consorte

L’idea del Governo è sempre più chiara e si fonda su tre pilastri. Il primo: che i pm intercettino pure, ma evitino di inserire, nelle ordinanze d’arresto, le conversazioni penalmente irrilevanti. Il secondo: ciò che resta delle intercettazioni sia vagliato, in una fase successiva, per decidere se allegarlo agli atti su richiesta delle difese. Il terzo: sia duramente punito chiunque “passi” a un giornalista le informazioni “chiuse in cassaforte”, il cronista che le scrive, la testata che le pubblica. Ma quale sarebbe stato il giudizio dell’opinione pubblica, quali sarebbero state le conseguenze politiche, se questa censura fosse già stata realtà? Ecco una breve una carrellata di notizie che non avremmo mai conosciuto o, nella migliore delle ipotesi, avremmo scoperto con anni di ritardo.
Il figlio di Lupi e il lavoro da Perotti
“Non ho mai chiesto all’ingegner Perotti né a chicchessia di far lavorare mio figlio”, dichiara il ministro Maurizio Lupi, quando esplode lo scandalo sulle Grandi Opere che porta all’arresto di Ercole Incalza, ex capo della Struttura di missione al ministero delle Infrastrutture, e Stefano Perotti, il direttore dei lavori che gestiva appalti pubblici per 25 miliardi. Le intercettazioni raccontano un’altra versione dei fatti. È il gennaio 2014, suo figlio s’è appena laureato, Lupi chiama Incalza e gli dice: “Ercole... se ti mando tra un quarto d’ora questo che è venuto da Milano a Roma per fare due chiacchiere? Nel senso di avere consulenze e suggerimenti?”. “Questo chi?”, chiede Incalza. “Viene mio figlio Luca...”. L’intercettazione è utile a inquadrare il “sistema” Incalza, ma Lupi non è indagato né intercettato direttamente, quindi non avremmo potuto conoscere né la vicenda, né del Rolex regalato da Perotti a suo figlio, né la menzogna del ministro, che sarebbe ancora al suo posto.
B., Gianpi Tarantini e le cene eleganti
Nel 2008 quando Silvio Berlusconi viene intercettato mentre parla con Gianpaolo Tarantini che gli procura donne in continuazione: “Però adesso voglio che tu abbia anche tu.. quelle tue, perché se no, mi sento sempre in debito, no? Portatele per te, e poi io mi.. porto le mie.. poi ce le prestiamo, la patonza deve girare...”. E non solo la patonza. Gravano anche aerei presidenziali con modelle a bordo e, per ringraziare Gianpi, che puntava a ottenere appalti pubblici, l’ex Cavaliere gli passava al telefono Guido Bertolaso. Non l’avremmo mai saputo.
La Ligresti in carcere e la Cancellieri “umana”
Siamo nell’ottobre 2013. La ministra di Giustizia Anna Maria Cancellieri parla al telefono con Gabriella Fagni, compagna di Salvatore Ligresti, che da luglio è ai domiciliari per l’inchiesta torinese sul gruppo Fonsai e le presunte falsificazioni dei bilanci societari. La figlia di Ligresti, Giulia, è invece in carcere. “Qualsiasi cosa io possa fare conta su di me, non lo so cosa possa fare però guarda son veramente dispiaciuta”, dice Cancellieri alla signora Fagni. La ministra non è indagata, tanto meno direttamente intercettata, ma si scoprirà che sensibilizzò il Dap sulla vicenda. Dopo la pubblicazione della telefonata si giustifica: “In cella non mangiava più, l’ho fatto per ragioni umanitarie”. Bisogna spiegarle che non tutti i detenuti possono chiamarla direttamente sul cellulare. È costretta a dimettersi. Poi viene indagata per false dichiarazioni ai pm e infine archiviata.
L’Ilva, i cronisti e lo scatto di Archinà
Nell’inchiesta Ilva sul disastro ambientale provocato a Taranto, il governatore pugliese di Sel Nichi Vendola è rinviato a giudizio per concussione aggravata, ma non viene mai intercettato direttamente. Né configura un reato il suo appezzamento per lo “lo scatto felino” con cui Girolamo Archinà, responsabile delle relazioni istituzionali dell’Ilva, sottrae il microfono al giornalista Luigi Abbate che tenta di intervistare il patron Emilio Riva. “La realtà non è così rosea visti i tanti morti per tumore…”, esordisce Abbate, quando Archinà gli sfila il microfono dalla mano. Senza leggere le intercettazioni non avremmo mai saputo che Vendola si complimenta con Archinà per il suo “scatto felino”, definendo il giornalista “faccia da provocatore” e improvvisatore “senza arte né parte”, né avremmo sentito le risate di Vendola nel ricordare la scena in questione. Vendola non s’è dimesso ma, dopo la pubblicazione dell’intercettazione sul ilfattoquotidiano.it   s’è dovuto scusare pubblicamente: “L’unica cosa di cui mi vergogno davvero è di aver riso in quel modo di un giornalista che faceva il suo mestiere, e a cui chiedo scusa”.
Unipol, i Ds  e “abbiamo una banca”
Un altro pezzo di storia del Paese viene sbobinato dagli investigatori il 18 luglio 2005 mentre indagano sulla tentata scalata di Unipol alla Bnl: “Ciao Piero, sono Gianni”, dice Consorte all’ex segretario dei Ds Piero Fassino, che gli risponde: “Allora? Siamo padroni della Banca?”. Poi si corregge ridendo: “Siete padroni della banca, io non c’entro niente...”. Parlando con Consorte, Massimo d’Alema è più prudente, e lo invita a fare “attenzione alle comunicazioni” ma a un certo punto è preda dell’emozione e gli dice: “Vai, facci sognare”. Nicola Latorre, parlando di Fassino con Consorte, lo bolla invece così: “Non capisce un tubo”. I tre non erano indagati e, poiché si trattava di parlamentari, la gip di Milano Clementina Forleo, nell’ordinanza in cui chiedeva al Parlamento l’utilizzabilità delle intercettazioni, scrisse: “Sarà proprio il placet del Parlamento a rendere possibile la procedibilità penale nei confronti di suoi membri – inquietanti interlocutori di numerose conversazioni sull’utenza in uso a Consorte – i quali all’evidenza appaiono non passivi ricettori di informazioni pur penalmente rilevanti nè personaggi animati da sana tifoseria per opposte forze in campo, ma consapevoli complici di un disegno criminoso di ampia portata”. I parlamentari non furono mai indagati. La Forleo finì invece sotto processo displinare, avviato dal presidente della Cassazione Mario Delli Prisco-li, che ritenne abnorme il provvedimento della gip. Fu prima trasferita e poi totalmente assolta.
Il terremoto de L’Aquila e le previsioni tabù
L’Aquila sopporta scosse telluriche da settimane, gli abitanti sono in agitazione, il capo della Protezione Guido Bertolaso viene intercettato, dal Ros dei carabinieri, che indagano sulla “cricca” che gestiva gli appalti del G8. Bertolaso parla con un assessore regionale abruzzese: “Bisogna zittire qualsiasi imbecille, placare illazioni, preoccupazioni. Ti mando i luminari del terremoto, da te o in prefettura, decidete voi.. a me non me ne frega niente…in modo che è più un’operazione mediatica. Così loro, che sono i massimi esperti di terremoto, diranno: è una situazione normale”. Mancavano cinque giorni alla scossa che ha devastato l’Abruzzo causando 309 vittime. Bertolaso era indagato in un altro procedimento, quindi queste parole non avevano rilevanza penale, nessuno avrebbe potuto pubblicarle. E invece, dopo la loro pubblicazione, Bertolaso è stato indagato e processato dalla procura di l’Aquila. Dopo due richieste di archiviazione, appena due settimane fa, la Procura Generale della Corte d’Appello ha chiesto il suo rinvio a giudizio di Bertolaso per omicidio colposo e lesioni colpose.