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 2015  marzo 27 Venerdì calendario

L’incoerenza di Repubblica e la legge bavaglio. Per Travaglio, «ora il quotidiano che cinque anni fa scatenò la battaglia dei post-it gialli appiccicandoli a tutti gli articoli che le nuove norme avrebbero vietato di pubblicare magnifica l’ennesima boiata partorita dalle fertili menti governative sulle intercettazioni. Peccato che l’idea dell’esecutivo sia quella di prendersela con i giornalisti che le utilizzano, per buona pace dei magistrati»

Per celebrare degnamente il 40° compleanno di Ugo Fantozzi, ieri Repubblica diramava in prima pagina questo tripudiante annuncio alla Nazione intera: “Intercettazioni, si riparte con la voglia di cambiarle. Il governo riapre il dossier e punta diritto a impedire che le conversazioni penalmente non rilevanti finiscano prima nei provvedimenti delle toghe, e dopo sui giornali. Nessuna stretta, però, sui magistrati, come fu ai tempi della legge bavaglio, ma regole rigide per utilizzare le sbobinature nelle ordinanze d’arresto, materia prima per la diffusione giornalistica”. Provate a leggere questo scampolo di prosa con voce stentorea e leggermente nasale, e avrete un Cinegiornale Luce dei tempi moderni. L’aspetto più avvincente della faccenda non è tanto il merito dell’ennesima boiata partorita dalle fertili menti governative (pare che la paternità sia di un trust di cervelli formato dal ministro dell’Interno Angelino Alfano e dal sottosegretario alla Giustizia Enrico Costa, ex berlusconiano ora in Ncd, il partito di Lupi): quanto piuttosto il fatto che a magnificarla sia il quotidiano che cinque anni fa, quando la legge sulle intercettazioni la firmò Alfano guardasigilli di Berlusconi, scatenò una sacrosanta campagna di stampa a base di post-it gialli appiccicati a tutti gli articoli che le nuove norme avrebbero vietato di pubblicare.
   Articoli che riguardavano, appunto, fatti non penalmente rilevanti, ma politicamente ed eticamente indecenti. Giustamente, più che sui limiti imposti al potere dei magistrati di intercettare, Repubblica (come molti altri giornali, fra cui il Fatto, e i rappresentanti di editori e giornalisti) si concentrò sull’assurdo divieto di pubblicare notizie vere e pubbliche solo perché non costituivano reato, cioè su una gravissima lesione della libertà di stampa, del dovere dei giornalisti di informare e del diritto dei cittadini a essere informati. Perciò la legge Alfano, che mozzava le orecchie ai magistrati e tappava la bocca ai cronisti, fu ribattezzata Legge Bavaglio. E fu stoppata – caso più unico che raro – dal presidente Napolitano, anche perché violava l’articolo 21 della Costituzione e la giurisprudenza della Corte europea di Strasburgo. Per gli stessi motivi naufragò fra le polemiche nel 2007 il ddl Mastella che, esattamente come quello del governo Renzi, non toccava i poteri della magistratura, ma imbavagliava la stampa. Quindi non si comprende perché mai ciò che era “bavaglio” quando lo firmavano Mastella e Alfano, ora che lo firmano Renzi e i suoi boys diventa una conquista di civiltà. Questo si chiama doppiopesismo.
Né si capisce che cos’abbia da esultare Repubblica perché il governo lascia in pace i magistrati ma se la prende con i giornalisti con “una doppia griglia di sanzioni, sia per i funzionari infedeli che passano le intercettazioni di chi non è indagato, sia per i giornalisti che le pigliano e le utilizzano”. Dai dai punite solo noi, oh sì sì, ancora, frustateci più forte ché ci piace tanto! Questo si chiama sadomasochismo. (...) Dal “siamo padroni di una banca?” di Fassino a Consorte e dalle altre esultanze dei D’Alema e dei Latorre con i furbetti del quartierino, al caso della ministra Cancellieri che raccomandava la figlia di Ligresti, dal Romanzo Quirinale del consigliere di Napolitano, Loris D’Ambrosio, che trescava con Mancino contro l’inchiesta sulla Trattativa giù giù fino al ministro Lupi che sistema il figlio qua e là e poi va alla Camera a mentire, finché viene smentito dalle intercettazioni e si dimette. Senza tutte quelle intercettazioni non penalmente rilevanti, noi avremmo avuto sempre e soltanto la versione (falsa) degli interessati. E Lupi sarebbe ancora ministro. E la Cancellieri siederebbe magari al Quirinale al posto di Mattarella.
   Vedremo nelle prossime ore se la riedizione riveduta e corrotta del bavaglio è condivisa da Renzi e dal ministro Orlando, o se verrà cancellata in fretta e furia come quella denunciata ieri dal Fatto in prima pagina: il Patriot Angelino Act con l’ideona di permettere all’intelligence e alle forze dell’ordine di intrufolarsi nelle email, nei cellulari, nei tablet e nelle conversazioni whatsapp dei cittadini a caccia di tagliagole dell’Isis, senz’alcun controllo né sospetto di terrorismo, ’ndo cojo cojo. Il premier va lodato per aver rimesso in riga il suo ministro dell’Interno, ma dovrebbe prima o poi rispondere a una domanda. Come ci fa notare il nostro lettore Vittorio Melandri, ieri mattina gli italiani hanno appreso dai giornali che il cosiddetto ministro dell’Interno con una mano vuole impedire a noi cittadini di conoscere cosa si dicono i politici, e con l’altra vuole consentire ai politici di sapere cosa ci diciamo noi cittadini. Ormai non c’è più neppure bisogno di intercettarlo, per sapere cosa combina: basta guardarlo e sentirlo parlare. La domanda è semplice: che altro deve fare Alfano per uscire a suon di pedate dal Viminale?