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 2015  marzo 27 Venerdì calendario

La chat del reclutatore dell’Isis: «Combattere è il paradiso e ti danno pure il pane gratis». Così si seleziona carne fresca da spedire al macello, anzi no, nell’hur, il paradiso dei martiri della jihad

Reclutare guerriglieri per l’Is. A 20 anni. In Italia. Attaccati al pc. Messaggio vocale su messenger. «Piacere di conoscerti, sono Medi, da Lanzo, in provincia di Torino. Ho visto che hai pubblicato il testo sui servizi offerti dallo Stato islamico. Quel testo (il documento in italiano “Lo Stato islamico, una realtà che ti vorrebbe comunicare”, ndr) l’ho scritto io, ma la versione che hai pubblicato non è quella finale. L’avevo caricata solo per fargliela vedere a un fratello.
Adesso c’è il link con il testo finito, te lo mando inshallah su un sito chiamato “archive”. Lo puoi scaricare anche in pdf da questo sito, c’è l’opzione a sinistra, schiacci su pdf, poi lo salvi...».
Così, un po’ smanettone e un po’ uomo marketing. “Mehdi” è Elmadhi Halili, 20 anni, abitava, prima che lo arrestassero per terrorismo internazionale, in un bilocale a Lanzo coi genitori e la sorellina Miriam. Di giorno imballatore in fabbrica a Villanova Canavese, di sera headhunter per l’Is. Perché la rete del Califfato nero ingaggia tagliatori di teste e cacciatori di teste. Lui, “Medi da Lanzo”, caccia. Seleziona carne fresca da spedire al macello, anzi no, nell’ hur, il paradiso dei martiri della jihad. Secondo messaggio vocale per propagandare il documento che esalta Is. «Mi farebbe tanto piacere se lo mandassi in chat a più fratelli possibili, inshallah, perché è un lavoro importante sia per me che l’ho scritto sia per voi che mi aiutate a farlo leggere a altri fratelli o sorelle». Gli inquirenti la chiamano «apologia subdola e indiretta». Perché, per convincere i suoi coetanei, o ragazzi anche più giovani, a diventare foreign fighters e partire per la Siria, Halili «non fa riferimento all’attività terroristica in senso stretto: quanto ai “servizi” offerti dallo Stato islamico, mentre – precisa però – i “soldati” si recano a combattere “per adempiere all’ordine di Allah”».
Come viene dipinto l’Is dai talent scout dell’web? Uno “Stato” «più equo e gratificante»; un «luogo ideale che non discrimina i giovani musulmani» e li riscatta dalle «ingiustizie sociali»; «una società organizzata, multietnica dove viene applicata la Shari’a (la legge sacra di Dio), dove il pane viene distribuito gratuitamente e la polizia è amica dei cittadini»; uno Stato che «da’ il massimo per i Musulmani». Concetti da fanatismo low cost da ficcare in testa – scrivono i giudici – a «un selezionato target di giovani islamici». Quanta facile presa possano avere sul web lo sapevano bene Elmadhi Halili e Elvis Elezi, 40 anni in due, homegrown cresciuti nella periferia torinese: figlio di marocchini il primo, famiglia albanese il secondo.
A farli finire nelle maglie dell’Antiterrorismo è il “gancio” con Anas El Abboubi, “Abu l’italiano”. Lui in Siria a combattere ci è già andato. Sempre grazie alla cellula italo-albanese. Il prossimo baby-guerrigliero da inviare nel Califfato doveva essere il 19enne Ben Ammar Mahmoud, da Cermenate, Como. Figlio di tunisini. Agganciato due anni fa, ha avuto paura e alla fine, dopo lunghe trattative, al kalashnikov ha preferito la scuola. Eppure Elvis Elezi era certo di averlo convinto. Ne parla il 13 febbraio 2014 in una chat con l’internauta “Avmen Islam”. «Allora ho chiesto ed è sicuro». «Va da solo?». «Credo di sì, al massimo si riunirà con qualcuno che sa come direzionarsi. Ho provato a chiedere ad Anas (Anas El Abboubi, ndr) ma non risponde». «Quanti anni ha?». «È minorenne». «Caspita se è minorenne complica la cosa... Se deve prendere un aereo o passare da un paese all’altro possono bloccarlo... E deve avere anche il permesso dei genitori». Risposta di Elvis: «Non funziona così, non deve avere il permesso dei genitori. Anche se i suoi gli hanno già detto di sì».
Mahmoud, in effetti, è gasato. Scrive a Elvis il reclutatore: «Fra’ ti volevo dire che per me l’ hur ( il paradiso dei martiri) è tutto... tu sei l’unico di cui mi posso fidare per questa cosa... Inshallah dopo settembre». Settembre doveva coincidere con la partenza del giovane comasco per la Siria. Un viaggio preparato a lungo. Il 17 aprile 2014 Mahmoud e Elvis si incontrano a Torino nel parcheggio sotterraneo dei grandi magazzini “Madama Cristina”. C’è anche l’internauta “Abu Musa”, amico di “Abu l’italiano”. Il cerchio si tiene. E si chiude. Come il profilo fb di Mahmoud. «Me l’hanno cancellato – dice al telefono il giovane comasco il 14 giugno, sempre a Elvis -. Sarà per quel motivo là...». Elvis vuole che ritorni a Torino, «voglio farti conoscere quella persona». È l’altro facilitatore: lo zio Alban, che sbarca all’aeroporto di Caselle dall’Albania. «È pronto» si compiacciono zio e nipote riferendosi alle intenzioni jihadiste di Mahmoud. «Vuole andare in Siria. È la parte più vicina e là la situazione è favorevole all’Is».
A un certo punto le ambizioni guerrigliere del 17enne tunisino vacillano. Telefonata del 14 giugno 2014. «Come fai a seguire la scuola? Non ti è difficile poi?», gli chiede Elvis. «Perché?». «Eh per quella cosa, ti ricordi?». «Per le preghiere?». «No, no dai te lo dico domani». Di fronte all’insistenza del reclutatore italoalbanese, Mahmoud dice di non essere del tutto convinto. «Sai che non so fratello, ora come ora boh, ci vuole quell’aiuto di Allah, per adesso non sento ancora il momento...». Poi riprende coraggio. È il 22 dicembre 2014. Nell’ordinanza di custodia cautelare il gip cita l’inchiesta di Repubblica sui foreign fighters italiani uscita tre giorni prima. Si fa riferimento ai propositi terroristici di un minorenne comasco. Il padre di Mahmoud affronta il figlio. «Tu hai deciso di andare eh.. vuoi andare a fare la jihad...Tu e il tuo gruppo ho ricevuto la notizia completa». «È tutto obbligatorio» gli risponde l’erede. Interviene la madre, disperata: «Non è obbligatorio. Quanti anni hai? Pensa al matrimonio e a una famiglia».