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 2015  marzo 27 Venerdì calendario

Follia e gelosia, le stragi dei piloti kamikaze. Dal russo che rubò un Antonov per schiantarsi sul palazzo dell’ex moglie alla tragedia di Tokyo: almeno 5 i casi accertati

Dei 18.524 incidenti dell’aviazione civile verificatisi dal 1919 a oggi -il primo a Verona, il 2 agosto di quell’anno, un Caproni Ca.48 in volo da Venezia a Milano, 14 morti- l’Aviation Safety Network ne considera ufficialmente soltanto cinque provocati dal suicidio del pilota. E altri tre li cataloga come «sospetti». Risulta ancora più sorprendente, poi, il fatto che i cinque casi accertati siano tutti precedenti all’11 settembre del 2001, ai giorni in cui, dopo l’attacco alle Torri Gemelli, si decise di blindare le cabine dei piloti.
Di questi cinque casi, almeno quattro non li ricorda più nessuno. Un pilota russo che il 26 settembre 1976 rubò un Antonov e andò a schiantarsi contro un blocco di appartamenti a Novisibirsk, dove viveva l’ex moglie: uccise 12 persone, lei non era in casa. Un altro pilota russo, il 13 luglio 1994 rubò anche lui un aereo a Kubinka e precipitò una volta esaurito il carburante, senza provocare morti. Fu un meccanico appena licenziato, invece, il 22 agosto 1979, a rubare un aereo a Bogotà: fini su un centro residenziale, quattro morti. Il quarto caso in Botswana, l’11 ottobre 1999: un pilota dell’Air Botswana lasciato terra per motivi di salute decollò da solo su un Atr 42 e lo fece precipitare dopo averlo annunciato tre volte via radio, nessuna vittima.
18.524Gli incidenti aerei che si sono registrati nel mondo dal 1919 a oggi
Il quinto caso ufficialmente riconosciuto, invece, soprattutto noi italiani lo ricordiamo. È il 21 agosto 1994 quando un Atr 42 della Royal Air Marocco precipita ad Agadir, muoiono 44 persone, otto sono nostri connazionali. Era stato il pilota Younes Khiati, 35 anni, a decidere tutto. L’audio degli ultimi trenta secondi di volo lo racconta: il copilota che per diciotto volto urla a Khiati «comandante, cosa fa?» e lui che alla fine risponde «Morire».
IL COMANDANTE KATAGIRI
Altri casi clamorosi, invece, sono rimasti almeno formalmente controversi. Clamorosi più che «sospetti». Come quello del Dc 8 della Japan Airlines che il 9 febbraio 1982 precipitò in mare poco prima dell’atterraggio a Tokio per una manovra volutamente sbagliata del comandante Seiji Katagiri: invertì la spinta dei motori, gli altri due membri dell’equipaggio non riuscirono a fermarlo, morirono 24 persone, 150 rimasero ferite. Katagiri da tempo soffriva di disturbi nervosi.
O come un altro caso, l’ultimo in ordine di tempo, quello del Boeing 777 della Malaysia Airlines che decollò da Kuala Lumpur l’8 marzo di un anno fa, destinazione Pechino, e dopo 40 minuti interruppe ogni contatto radar. Aveva 239 persone a bordo, il comandante Zaharie Ahmad Shah, 53 anni, gli fece fare una rotta inspiegabile, su e giù per l’Oceano Indiano. In tredici mesi neanche un pezzo di lamiera è stato ritrovato, nonostante 27 paesi abbiano partecipato alle ricerche. Ma un documentario della Bbc ha rivelato che poco prima si scomparire quel Boeing sorvolò stranamente Penang, l’isola natale del comandante Shah, come se a quella terra lui avesse voluto dedicare l’ultimo saluto.
LA TRAGEDIA IN USA

Controverso, almeno per i registri, rimane anche l’incidente del volo Egypt Air del 31 ottobre 1999: partito da New York e diretto al Cairo, con 217 persone a bordo, precipitò nell’Atlantico poco dopo il decollo.
Le indagini dell’Fbi ricostruirono com’era andata: il copilota Jamil Batouti, uscito il comandante dalla cabina aveva disinserito il pilota automatico per iniziare una vertiginosa caduta. Fino all’audio degli ultimi secondi, quando Batouti pronunciò la frase: «Mi affido a Dio».