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 2015  marzo 26 Giovedì calendario

Giovani, invisibili e sempre connessi: la guerra santa degli jihadisti torinesi. Uno è cresciuto a Lanzo, l’altro a Ciriè. Non hanno barbe incolte né vestiti islamici Passano inosservati anche in famiglia. «Se mio figlio è un terrorista lo ammazzo io»

Invisibili. Giovanissimi (presunti) jihadisti che non hanno barbe incolte; che non indossano i vestiti della tradizione; che non frequentano moschee; che non pregano in pubblico; che non lasciano mai trapelare posizioni fondamentaliste pur professandosi islamici; che intessano normali rapporti sociali con i coetanei, i professori, l’ambiente sociale dove vivono le loro famiglie. Viene in mente il decalogo qaedista per i piloti del settembre 2001: tagliare la barba, vestire all’occidentale, comprare alcol negli aeroporti, irrorarsi di profumo, ostentare libri e riviste sexy, proibite dall’Islam. Per passare inosservati tra la folla, per non destare l’attenzione di nessuno.
Sempre on line
I genitori li vedono trascorrere ore sulla tastiera del pc e fare zapping sulla tv, per collegarsi alle tv di area ma non hanno sospetti e oggi piangono e si disperano guardando il video del Viminale dove i figli compaiono in manette. Stupiti e sconvolti. Su Elvis Elezi, 20 anni, studente dell’istituto professionale D’Oria di Ciriè, indirizzo tecnologico, grava l’accusa dei pm di Brescia di essere uno dei reclutatori dei combattenti Isis. Il padre Itayed, saldatore: «Figlio unico, il migliore del mondo. Io avrei voluto tornare da tempo in Albania sono rimasto qui per lui, per dargli un futuro, per farlo studiare. Se fosse davvero un terrorista lo ammazzo io con le mie mani!». Disperato: «Me l’hanno rovinato, gli resterà per sempre una macchia nella sua vita, non riusciamo a capire, a capirlo». La moglie Liliana, in lacrime, mostra i generi alimentari avuti gratis dalla parrocchia: «Noi siamo grati all’Italia, siamo qui da dieci anni, la gente di qui ci stima e ci rispetta. Mio marito ora lavora saltuariamente, non c’è lavoro e siamo in difficoltà; ma ad Elvis non abbiamo mai fatto mancare niente». Era in contatto con lo zio Alban, anche lui arrestato? «Non parliamo da anni con lui, abbiamo litigato – dice Itayed – non capisco che tipo di legame abbiano. La polizia è venuta qui alle 6 di mattina, incappucciati, armati, spalancano la porta, mi urlano “dov’è tuo figlio?”. “Mio figlio è lì, sta dormendo, che ha fatto?». Lo portano via». A scuola non andava troppo bene, niente di grave però, dicono i professori.
Studente distratto
Spiega la preside Maria Costantino: «Ho parlato con lui spesso, in questi anni, proprio perchè i suoi genitori non erano molto presenti, qui a scuola. Mai sollevato sospetti sulle sue idee. È uno studente un po’ distratto, non troppo brillante. Anzi, quando i fondamentalisti hanno distrutto le statue a Mosul, lui s’è indignato, ha criticato pubblicamente l’Isis. Anche la sua insegnante di italiano è caduta dalle nuvole, non ha mai rilevato nessuna anomalia nel comportamento di questo ragazzo, neppure quando in aula è stato affrontato il tema della strage di Charlie Hebdo e dei morti torinesi a Tunisi; non è un leader, aveva pochi amici, «ma tutti gli vogliono bene», commenta.
Apprendista operaio
Più complesso il ritratto di El Madi Halili: «Mio fratello non è un terrorista – dice la sorellina, Mariam – non è un fondamentalista, fa l’operaio-apprendista in una fabbrica di materiale plastico a Villanova Canavese, lavora tutto il giorno e sta con noi in famiglia». Unico flashback di segno islamico: «Gioca a calcio con mio figlio nella Lanzese – racconta un commerciante – quando c’era il Ramadan, nonostante fatica e sudore – rifiutava persino un bicchiere d’acqua, ero rimasto colpito». Madi El Halili viene descritto come un ragazzo introverso, poco incline a dare confidenza, anche ai compagni di lavoro, che viveva come isolato, nella casa di vico delle Coste, 17, nel centro storico di Lanzo. Un vecchio fabbricato, un lungo ballatoio e poi la porta dell’alloggio. Il padre, falegname, una vita di duro lavoro, e il fratello stanno cercando un avvocato, ieri sono andati in questura per avere informazioni: «Non avremmo mai pensato che potesse finire in un guaio del genere, se ha fatto qualcosa è perchè qualcuno lo ha messo in mezzo, lo hanno coinvolto suo malgrado». L’accusa è di svere scaricato e diffuso documenti Isis, traducendo le 64 pagine di un documento di propaganda destinato dai terroristi ai seguaci in Occidente. In contatto con Elvis Elezi e gli altri indagati. Sul tavolo della piccola scrivania nella casa di Elvis, protetta da una videocamera che sorveglia l’ingresso, sono rimasti i cavi staccati del computer, la Digos ha sequestrato computer e telefoni.
Non siamo praticanti
La madre: «È un bravo ragazzo, credetemi. Non abbiamo più notizie da ore, chissà come sta. Quando lo libereranno?». Conosceva El Madi? «Non lo so, non ci ha mai detto niente. Siamo islamici, ma nessuno di noi è praticante, in casa nostra non si è mai parlato di terrorismo». Fuori, in un armadio, ci sono scarpe da ginnastica, magliette con loghi di multinazionali dello sport, i libri di scuola nella parte inferiore, vissuti, sottolineati, consumati e impilati con cura. Divisi per materia. Incerto il profilo degli altri due indagati torinesi. Giovanissimi anche loro. Un ragazzo e una ragazza di origine marocchina. Anche loro piegati per ore sui computer, immersi nel mare magnum dei siti integralisti. E altri genitori increduli.