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 2015  marzo 26 Giovedì calendario

Le lacrime dei grandi d’Europa per il disastro dell’Airbus 320. Merkel, Hollande e Rajoy nel villaggio più vicino ai resti. Il procuratore: «Ci vorranno settimane per recuperare tutti i corpi»

Nei villaggi ai piedi della montagna dove martedì mattina si è schiantato l’aereo è il momento del grande vuoto. Sono vuote all’improvviso le vite dei famigliari in arrivo, e vuote le camere ardenti di Seynes-Les-Alpes e di Le Vernet perché i corpi delle 150 vittime non sono stati ancora ricomposti «e ci vorranno settima-ne, visto il loro stato», dice il procuratore di Marsiglia Brice Robin. Solo ieri sera gli elicotteri hanno cominciato a recuperare i primi resti, sparsi nel raggio di mezzo chilometro come i rottami dell’Airbus 320. Dei camion frigoriferi sono giunti da Parigi. Il pompiere Gilles Bertrand appena sceso dall’elicottero ha le lacrime agli occhi e dice «lassù non si riesce a distinguere niente, è tutto sbriciolato».
Nelle sale allestite dai comuni e nella tenda piazzata nel campo davanti al massiccio dei Trois-Évêchés, con le bandiere francese, tedesca e spagnola, ci sono registri di condoglianze, fiori, ma non bare. «Sono più che altro luoghi di memoria», dice il funzionario del ministero dell’Interno.
In queste condizioni elaborare il lutto, come si dice, insomma sopportare ciò che sopportabile non è, diventa un’imposizione ancora più scandalosa. Le centinaia di persone che stanno raggiungendo questi piccoli paesini delle Alpi marittime francesi da tutto il mondo – Germania (72 vittime), Spagna (51), Turchia, Belgio, Olanda, Danimarca, Gran Bretagna, Israele, Marocco, Stati Uniti, Messico, Australia, Argentina, Colombia, Giappone – non troveranno niente di quel che conta: né sopravvissuti, né le salme, né la spiegazione di che cosa è stato a portarli via, perché il disastro per adesso resta incomprensibile.
Per provare a riempire questo vuoto c’è allora un gigantesco indaffararsi, una mobilitazione enorme di tre capi di Stato, cinquecento gendarmi, duecento pompieri, cinque elicotteri, decine di psicologi e interpreti di tedesco, spagnolo, inglese, turco, e soprattutto sindaci, volontari, abitanti. Si cerca di riparare almeno le vite di quelli che restano, i famigliari. Sono loro la priorità. Il presidente francese Hollande e la cancelliera Merkel ieri intorno alle 14 hanno sorvolato la zona dello schianto e poi, raggiunti dal premier spagnolo Rajoy, hanno passato in rassegna il sistema dei soccorsi per dare ai parenti l’idea che quel dolore immenso è condiviso da intere nazioni. In queste occasioni si può trovare consolazione in tutto, anche nelle parole degli uomini politici.
«Faremo di tutto per ridare i corpi alle famiglie», ha detto Hollande in un capannone di Seynes-Les-Alpes, tra l’ipermercato e un prato che è diventato la pista degli elicotteri. «A nome della Francia esprimo i miei sentimenti più tristi di condoglianze, il popolo francese è con voi in questa prova». A dare sostanza alle frasi del presidente c’è uno schieramento di forze in effetti imponente, e l’impegno personale di tanti cittadini che da ieri mattina si presentano in municipio perché vogliono aiutare. C’è Marie-France Manoeuvre che ha sistemato in casa «i letti a castello e se c’è bisogno anche il materasso gonfiabile, riesco a ospitare sei persone», Marc Waise che offre il suo piccolo albergo, Lucien Beaucaire che dice «possono stare a casa mia per il tempo che vogliono». Tutti hanno in mente «gli stranieri» che stanno per arrivare, che non troveranno posto nei pochi hotel e forse staranno scomodi nei lettini da campo preparati per loro nel comune di Digne-les-Bains.
Qualcuno è giunto nella notte con mezzi propri, la maggior parte dei parenti sono attesi oggi: due aerei in partenza da Barcellona e Düsseldorf verso Marsiglia sono stati messi a disposizione da Lufthansa (la casa madre della compagnia Germanwings), e due pullman arriveranno dalla Spagna. Claude Driessens invece ha scelto di restare a Liegi, in Belgio. «Mio fratello Christian, 59 anni, prendeva l’aereo una volta la settimana per lavoro, io gli chiedevo se non aveva paura e lui mi rispondeva con la frase che dicono tutti, che l’aereo è il mezzo di trasporto più sicuro. Era abituato a viaggiare, si è accorto di sicuro che qualcosa non andava. Un calvario. Non vado sul luogo del disastro, sono rimasti solo coriandoli. Io non dormo più. Avrò pace forse solo quando mi diranno che cosa è successo».