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 2015  marzo 26 Giovedì calendario

I cinquantamila libri di Roberto Calasso: «Li catalogo in ordine geologico. Non sono bibliofilo. Ho accanto a me solo volumi che uso. Preferisco definirmi un acquirente onnivoro»

La biblioteca di Roberto Calasso è come i libri che ha scritto: in apparenza priva di metodo e disposta secondo un ordine che non salta all’occhio, come se il proprietario non volesse mettere in evidenza i volumi più importanti, o forse perché il vero sapere sta in un’essenza che rinvia al sacro e al rito, e che sta oltre il testo, come l’essenza dell’icona bizantina sta oltre l’immagine dipinta. Quasi tutti i libri sono avvolti in pergamino, una sorta di carta velina, che quasi impedisce di leggere il dorso, quindi il titolo e l’autore.
Calasso stesso, prima di cominciare il tour tra i 50mila volumi accumulati lungo tutta la sua vita, più da scrittore che da editore, fa una premessa. Socchiude gli occhi e dice: «Mostrare la propria libreria è come far entrare un estraneo nell’intimità. È come raccontare i propri flirt. Una cosa da evitare. Perciò ho resistito a lungo all’idea. Poi l’occasione è diventata il pungolo per scrivere un piccolo libro sui libri e su come usarli. Arrivati a questo punto, l’intervista dovevamo farla». Il libretto lo sta già scrivendo. «Non sono un bibliofilo», precisa, «tengo accanto a me solo libri che uso. La mia biblioteca è un insieme geologico: i vari strati corrispondono ai libri che ho scritto (anche a quelli non pubblicati) e a passioni che si sono succedute. I libri sono disposti in diversi studi, nella mia abitazione (una casa settecentesca nel centro di Milano), ma anche in altri due appartamenti e in casa editrice, dove sono a disposizione di tutti i collaboratori». Calasso ha una storia d’amore con quel pensiero che mette in risalto le contraddizioni irrisolvibili della modernità. Irrisolvibili, perché la modernità, che vuol dirsi razionale, è debitrice invece del senso del sacro, antico come l’essere umano. E basti pensare a La Folie Baudelaire con la scena chiave del sogno del poeta in un museo-bordello: rito e trasgressione; o alla Rovina di Kasch, dove Talleyrand e gli anni della Rivoluzione francese sono messi a confronto con un’antica leggenda africana e con il sapere dell’India vedica.
Lo scrittore comincia con una piccola libreria. «Ce l’avevo nella mia stanza da ragazzo a Firenze». Mostra l’edizione Pléiade della Recherche di Proust. «È un regalo di Natale che ho chiesto quando avevo 13 anni, da lì sono partito. In quei giorni mi trovavo a letto, per un incidente. Così ho cominciato a leggere la Recherche in una situazione ideale, sfruttando i vantaggi della malattia, come diceva Freud». Prosegue con altri libri che sono consoni alla sua formazione di base: «Ecco tutto Goethe, tutto Robert Walser, la prima edizione dell’ Uomo senza qualità di Musil. Per completarla mi ci sono voluti anni». Ed ecco gli scritti di Adorno, con le sue dediche. Poi mostra testi di Thomas Browne, oggetto della sua tesi di laurea, scrittore esoterico e scientifico. Si prosegue con Walter Benjamin e occorre fare una pausa. K. è un testo che Calasso ha dedicato a Kafka, inventandosi un romanzo su un romanzo, Il castello. Libro che non sarebbe potuto esistere senza Benjamin, senza la sua tecnica di digressioni e commenti e senza la sua tensione messianica e al contempo profana. E a proposito di profanità, anzi di ateismo non materialista unito alla critica del linguaggio, spuntano gli scritti di Fritz Mauthner, filosofo di origini boemo-ebraiche, scomparso nel 1923 e con cui si misurò Wittgenstein.
Dopo aver svelato l’eclettismo su cui poggia la sua produzione, Calasso ci introduce invece in un regno della metodicità. È una stanza rettangolare con una luce che filtra da due grandi finestre. «Ho sempre pensato che avrei dovuto avere una stanza dove mettere insieme la Loeb (collana di classici greci e latini della Harvard University) e le Belles Lettres, suo equivalente francese». La collezione occupa una parete. Di fronte: «A rispecchiarsi coi classici, c’è una parete di testi e studi indiani». Accanto ai classici: il Lexicon Iconographicum Mythologiae Classicae, dell’Artemis Verlag; il Thesaurus Cultus et Rituum Antiquorum, del Getty, che parlano di tutti gli aspetti della vita degli antichi. «Sono due grandi opere che si sono elaborate in questi ultimi trent’anni, grazie a folte squadre di studiosi», spiega il padrone di casa e indica il Lexicon di Wilhelm Roscher, «una impresa ottocentesca, insuperabile, inventata da un uomo solo. Quando ho scritto Le nozze di Cadmo e Armonia è stata per me preziosa e la uso ancora ogni giorno». E poi un dizionario dei personaggi del Mahabharata e la collana dei Sacred Books of the East fondata da Max Müller, 50 volumi di classici orientali. «Senza questa parete non ci sarebbe L’ardore, né Ka», precisa.
La visita dura cinque ore. E, tirando fuori volumi preziosissimi, Calasso smentisce l’affermazione per cui non sarebbe un bibliofilo (preferisce definirsi «un acquirente onnivoro»). Per sommi capi e citando il padrone di casa: «Ecco la prima edizione del Törless di Musil del 1906, romanzo di un esordiente di ventisei anni, stampato da una casa editrice non memorabile di Vienna; la prima edizione in tedesco della Atalanta Fugiens di Michael Maier (un testo leggendario dell’alchimia). Poi il Dictionnaire Historique e Critique di Bayle». E occorre fare un’altra pausa. Pierre Bayle, autore della seconda metà del Seicento, era una specie di proto enciclopedista. Le pagine del Dictionnaire si presentano simili ai testi talmudici. Il testo che sembra principale ed è stampato in caratteri grandi è accompagnato da foltissime note e rimandi in margini. Ma il messaggio vero si nasconde nelle note, nei commenti, e non nel testo principale. E viene in mente I quarantanove gradini di Calasso, libro iniziatico, compendio di sapienza che sta nel commento. Che altro? La collezione di Die Fackel, rivista di Karl Kraus, «acquistata da un antiquario, forse ex nazista, di Vienna, prima che si diffondesse il culto della Grande Vienna»; la prima edizione, introvabile perché mandata al macero dalla famiglia, delle memorie del presidente Schreber (personaggio chiave di Freud e protagonista de L’impuro folle di Calasso); il catalogo della biblioteca di Talleyrand, la prima edizione del Tractatus theologicopoliticus di Spinoza («la usava mio nonno Ernesto Codignola»). Infine il Sofocle di Aldo Manuzio, «origine di tutti i paperback»; un minuscolo Giordano Bruno (il De Triplici Minimo) e uno schieramento di opere del gesuita poligrafo Athanasius Kircher, per non parlare di certi estratti di Aby Warburg, con dediche ai familiari e comprati all’asta da Sotheby’s («non si erano accorti di cosa stavano vendendo»).
A fine giornata, Calasso, questa volta nello studio in casa editrice, di fronte alla libreria che contiene ciò che rimane della biblioteca di Roberto Bazlen, l’uomo all’origine di Adelphi, parla degli scrittori più amati. In particolare di due: Brodskij: «La poesia faceva parte di lui come il respiro e la circolazione del sangue»; e soprattutto Kafka: «Nessun altro ha saputo come lui ridurre l’immenso accumulo della storia a dati essenziali, non ulteriormente riducibili, che coinvolgono chiunque». Ecco svelato il (non) metodo Calasso: inanellare testi, digressioni, commenti, per andare all’origine di ogni cosa. O almeno a questo dovrebbero servire i suoi 50mila libri.