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 2015  marzo 26 Giovedì calendario

La lotta alla corruzione non passa attraverso la santificazione di Raffaele. Né pensando che il problema si risolva semplicemente inflazionando gli organi di controllo, le procedure e le sanzioni

Il magistrato Raffaele Cantone ha ragione: con ammirevole senso dell’autoironia ha paventato l’eventualità di una sua chiamata al Festival di Sanremo, volendo sottolineare così le eccessive aspettative che si ripongono sulla sua persona e, forse, sull’Anac, l’Autorità anticorruzione da lui guidata. In altre parole, la lotta alla corruzione non passa attraverso la sua santificazione. Né pensando che il problema si risolva semplicemente inflazionando gli organi di controllo, le procedure e le sanzioni. Purtroppo, per ora il governo e il Parlamento hanno operato molto di più sul lato repressivo (e procedurale) che su quello sostanziale e, se alcune misure sono necessarie, altre rischiano di introdurre complicazioni e confusione.
Prendiamo la direttiva del ministero dell’Economia in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza, preparata di concerto con l’Anac e pubblicata il 25 marzo. Il Mef richiede a tutte le società direttamente o indirettamente controllate da enti pubblici l’applicazione di regole anti-corruzione che prevengano non solo comportamenti illeciti delle società (per i quali sono già applicabili i modelli procedurali della ormai famosa legge 231) ma altresì atti commessi in danno dell’impresa, quando ad esempio un funzionario riceve una tangente allo scopo di favorire un determinato fornitore (quel tipo di situazioni, cioè, che vediamo così spesso accadere negli scandali che coinvolgono la pubblica amministrazione, dal Mose alla Tav).
Il piano aziendale deve essere approntato da un responsabile della prevenzione della corruzione appositamente istituito ed ha dei contenuti minimi stabiliti dal Mef. Si richiede un’analisi delle attività rischiose, si introducono situazioni di incompatibilità tra le cariche di amministratore di società e dirigente pubblico o politico o ex dipendente di pubbliche autorità che abbiano avuto a che fare con la società nei 3 anni precedenti; si assicura la protezione di coloro i quali denunciano il malaffare; si raccomanda l’approvazione di codici etici e misure di trasparenza; si introduce la rotazione negli incarichi. Si tratta di obblighi attuativi della Legge Severino del 2012, di quella sulla trasparenza della P. A. del 2013 e spesso mutuati dalle migliori pratiche della Legge 231.
Uno dei problemi è che il Mef non sembra distinguere abbastanza tra società quotate (o i fondi di investimento) che operano in un mercato concorrenziale e le altre. Come la stessa Ocse (l’Organizzazione internazionale per la cooperazione economica tra i Paesi più sviluppati) suggerisce, sono le imprese pubbliche che devono imitare quelle che operano su mercati regolamentati perché queste ultime sono tenute a regimi di maggiore trasparenza. Peraltro, società private e complesse devono avere la flessibilità sufficiente per approntare i meccanismi più avanzati ed efficaci nell’evitare la corruzione. Nella pubblica amministrazione è necessaria invece maggiore rigidità, proprio perché, salvo che in pochi valenti e probi funzionari, la sensazione è che il denaro sia di tutti e di nessuno ed il rischio di corruzione passiva è più elevato che nelle imprese private dove ci sono dei proprietari e spesso la retribuzione dei manager è legata alla performance della società (il che non toglie che si verifichino terribili frodi anche in questi ultimi enti).
Quindi, ad esempio, o non si ha veramente intenzione di far rispettare la raccomandazione sulla rotazione degli incarichi, ma allora era inutile inserirla, oppure si fa sul serio e questo interferisce con la governance delle società. Stesso dicasi per l’istituzione del responsabile anticorruzione che si unirà ad organismo di vigilanza, sindaci, comitati consiliari, preposti al controllo interno e la restante folla di attori che presidia i controlli interni societari.
Persino il ddl sulla corruzione in discussione in Parlamento affronta alcune questioni e ne elude altre. È vero, molti processi cadevano in prescrizione, e l’allungamento dei termini forse era inevitabile così come l’inasprimento delle pene. Il problema principale, però, è la lunghezza dei procedimenti. Non è ammissibile né che la macchina della giustizia si trasformi in un ufficio di cold case ( i casi irrisolti che emergono dalle tenebre anni dopo) o che degli individui possano rimanere imputati per l’eternità con tutto ciò che questo comporta in termini reputazionali e di perdita di chance.
Volendo aggredire il grave ed insopportabile problema della corruzione, oltre a considerare alcuni dei provvedimenti suggeriti da Sergio Erede ed Alessandro Musella nell’articolo del 24 marzo, il governo potrebbe cominciare a disboscare seriamente la giungla delle 7-8.000 società partecipate dallo Stato, le decine di migliaia di centri di acquisto per la pubblica amministrazione, la marea di livelli necessari per i processi decisori (8.000 Comuni, miriadi di conferenze di servizi, comunità montane, ministeri, Regioni e in futuro città metropolitane). I bilanci degli enti pubblici, poi, dovrebbero essere molto più trasparenti e leggibili di quanto sono ora, chi ha rapporti economici con l’amministrazione dovrebbe renderli accessibili e pubblici e, come raccomanda la stessa Ocse, gli obiettivi dello Stato-azionista dovrebbero essere chiari e dichiarati in anticipo (i governi che lo fanno in generale hanno di mira l’accrescimento del valore della società, come per le imprese private).
Sarebbe opportuno, come notato da Erede e Musella, inoltre fare leva sul conflitto di interessi, ossia non solo proteggere lo “spifferatore” di notizie, ma introdurre una legislazione premiale per i pentiti o gli informatori, in modo da debellare le reti di corruttela grazie alla denuncia reciproca dei complici o di chi sa (ovviamente punendo i calunniatori). Naturalmente la legislazione degli appalti dovrebbe essere più chiara, semplice, trasparente: non si capisce come mai le imprese private riescano ad approvvigionarsi di beni, opere e servizi in modo decente attraverso contratti e garanzie e la Pubblica amministrazione no. Può bastare. Quel che è importante è non illudersi che la minaccia di manette facili, la moltiplicazione di controllori e controlli e lunghi processi penali siano senza controindicazioni e per di più risolutivi. Come diceva Tacito? Ah sì, corruptissima re publica plurimae leges.