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 2015  marzo 05 Giovedì calendario

Expo, la guerra dei cuochi stellati italiani. Leader nati, presenzialisti tv e sponsorizzati: esattamente come i politici, le star dei fornelli rispondono alla logica delle correnti

Dal patto al piatto del Nazzareno il passo è breve. Anche se scivoloso.
Si avvicina l’Expo e i furbetti del tortellino si posizionano ai nastri di partenza. Falsa. Come quella del ministro per l’agricoltura Maurizio Martina che lunedì ha riunito al Mipaf – come recita il ministeriale comunicato – «venticinque tra i più importanti chef per il primo forum sulla cucina italiana». Peccato che il ministro si sia dimenticato di Gualtiero Marchesi, il padre di tutti gli chef italiani, e si sia affidato ad un’organizzazione privata per riunire le nostre stelle. Ne è nato un putiferio dal quale il ministro non sa come uscire. Anche perché si ha la sensazione che ormai la cucina italiana sia divisa in fazioni e che l’accordo bipartisan sul piatto del Nazzareno finisca per diventare indigesto. In che senso? Che se a Oscar Farinetti, guru di Matteo Renzi, sono andati i ristoranti dell’Expo, per riequilibrare Martina ha dato l’appalto del forum a Paolo Marchi, ex de Il Giornale, ora gestore di Identità Golose. Il quale di fronte alle contestazioni sulla scelta dei protagonisti ha tagliato corto: «Sono i migliori». Opinabilissimo giudizio che ha determinato il flop del forum. Invece di discutere del futuro della cucina italiana, ci si è azzuffati sulle convocazioni.
Si scorre l’elenco e ci si accorge subito di un’assenza pesante: non c’è Gualtiero Marchesi, l’unico cuoco italiano davvero riconosciuto all’estero, che ha allevato generazioni di cucinieri, che con Alma a Colorno ha costruito l’unica vera scuola superiore di cucina. Che senso ha un forum sulla cucina italiana senza Marchesi? Al ministro la risposta. Compitando il carnet degli invitati si scopre che mancano altri due dei cinque tre stelle italiani: Pietro Crippa e Heinz Beck. E non ci sono veri pilastri della nostra cultura gastronomica come Alfonso Iaccarino o Mauro Uliassi, Giancarlo Perbellini mentre compare Fulvio Pierangelini che non ha più il ristorante. C’è uno che fa cucina giapponese come Claudio Liu e non c’è Ciccio Sultano interprete della cucina mediterranea.
Si comprende così che Marchi ha chiamato la sua squadra, come farebbe un qualsiasi agente teatrale d’avanspettacolo. Marchesi raggiunto via Facebook ha fatto sapere: «Meglio così; avevo un appuntamento importante per vedere se riesco finalmente a fare a Colorno, accanto ad Alma, la casa di riposo per i cuochi sull’esempio di quella milanese per gli artisti».
Ma una domanda al ministro converrebbe porla. Visto che lui è il responsabile delle politiche agricole non poteva scegliere cuochi che fanno degli ingredienti nazionali il loro credo? Visto che ci sono di mezzo comunque quattrini pubblici, poteva affidare l’incarico all’Accademia della Cucina, unico Ente gastronomico riconosciuto dalla Repubblica? E non dovrebbe il ministro preoccuparsi della formazione dei cuochi e chiamare a consulto gli Istituti alberghieri, la stessa Alma o l’Università di Parma che ha un corso di laurea in Scienze Gastronomiche, gli chef italiani all’estero?
Affidandosi a Identità Golose – che è un’impresa privatissima – il buon Martina ha reso palese che anche gli chef sono divisi in partiti e hanno i loro protettori che diventano spessissimo i loro promoter. Così è possibile accennare una mappa del potere alla amatriciana. Della squadra di Marchi fanno parte Pietro Leemann, Pino Cuttaia, Pietro Zito, la Antonia Klugmann, Marco Reitano, Corrado Assenza, Simone Padoan, Claudio Liu, Norbert Niederkofler, Fulvio Pierangelini, Antonello Colonna, Moreno Cedroni. Ci sono i solisti: Heinz Beck, Alfonso Iaccarino, lo stesso Marchesi, la Anne Feolde.
Poi ci sono i vizzariani che pendono dalle classifiche dell’Espresso: Massimiliano Alajmo, Alessandro Cerea, Ciccio Sultano, perfino Massimo Bottura che però ora può fregarsene di tutti. Ecco gamberorossisti come Davide Scabin, Mauro Uliassi, Gennaro Esposito. Infine ci sono i televisivi come Gianfranco Vissani, Carlo Cracco, Bruno Barbieri, Antonino Cannavacciuolo. Ma non si dividono più tra tradizionalisti e innovatori, tra creativi e ortodossi, no oggi si confrontano per appartenenza o vicinanza a questo o a quel critico, a questo o quel festival. Con i ristoranti vuoti per tirare a campare bisogna fare spettacolo: stare in una scuderia – come impone lo show biz- con un buon agente. E chissenefrega se in alcuni casi l’agente è anche il recensore. Vero ministro Martina?