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 2015  marzo 05 Giovedì calendario

Ritratto di Guido Ghisolfi, grande imprenditore e grande finanziatore di Renzi, morto suicida. Trovò l’oro in fondo ai fossi: il suo impero costruito sfruttando le canne che crescono lungo l’autostrada

Una decina di minuti in auto separano casa Ghisolfi da strada Rocca, Tortona da Carbonara Scrivia, la vita dalla morte. Lo spiazzo che Guido Ghisolfi ha scelto per uccidersi è perso nella campagna dell’Alessandrino. Una decina di minuti per riflettere sul confine tra il coraggio e la paura e poi scegliere. La famiglia racconta una depressione profonda, a Tortona la gente abbassa la testa: che dire? Niente, perché niente spiega un gesto così. A 58 anni Guido Ghisolfi era vicepresidente della seconda industria chimica italiana dopo l’Eni, quella fondata dal padre Vittorio nel 1953. Gente capace di andare a cercare l’America oltreoceano (gli antenati erano emigrati in Brasile) e di tornare indietro per trovare il destino nel giardino di casa. Il gruppo Mossi&Ghisolfi è in tutto il mondo, fattura tre miliardi l’anno ma resta una srl. Il fondatore è il presidente, i due figli al timone: Guido vicepresidente, Marco amministratore delegato.
L’intuizione
Quando Guido ha cercato di metterci del suo ha continuato con la chimica, esplorando però terre vergini. Pare che il fratello Marco non fosse entusiasta dell’idea di produrre biocarburanti in Italia, che ci siano state discussioni lunghe ed estenuanti. Però nel 2011 nell’impianto costruito per i test a Rivalta Scrivia, Guido magnificava le virtù di quell’intuizione in mezzo a un gruppetto di ingegneri giovanissimi. Gli alambicchi avevano decretato che sì, si poteva fare, gli occhi grigi dell’ingegnere brillavano. Sembrava grappa, quel liquido giallastro. «È così bio che si potrebbe anche bere», scherzava: «Però non garantisco per il mal di testa la mattina dopo».
Anche Tortona lo ricorda così, sempre al lavoro e sempre ottimista. L’impegno con la squadra cittadina di basket, l’aiuto a centinaia di famiglie. Riconoscimenti? A lui bastava tornare a casa dalla moglie e dai quattro figli con la certezza che Tortona voleva bene ai Ghisolfi.
All’epoca l’entusiasmo, in azienda, era tutto per la materia prima: la canna dei fossi. «Cresce da sola, ce n’è dappertutto, qui. Inutile fare biocarburante, se poi vai a rifornirti chissà dove. Questo arbusto viene su lungo le autostrade». Anche la strada che porta da Tortona a Carbonara è costeggiata da cespugli di canne, facile che Ghisolfi ci abbia pensato. E dalle canne era venuta buona parte dei guai per lo stabilimento di Crescentino, inaugurato nel 2013. Gli agricoltori la considerano infestante e si rifiutano di coltivarla. Ghisolfi s’era spinto a cercarla nel Cuneese: ottenendo una rivolta di chi temeva un’invasione di camion. Le canne di Cuneo non sono arrivate mai, s’è cambiata ricetta. Tre giorni fa, la conferma: funziona lo stesso.
L’abitudine a combattere
È presuntuoso ipotizzare che queste difficoltà abbiano scavato nell’anima di Ghisolfi una voragine tanto grande. Il padre Vittorio aveva cominciato con i contenitori di plastica ma ha sfondato quando ha iniziato a produrre la materia prima, il Pet. Ha comprato le attività della Shell nella plastica e ha ripetuto il giochetto in Brasile, in Cina e in India. Gente abituata a combattere: Guido ha imparato da bambino le difficoltà di chi si impegola nell’arte del fare. Ultimamente magnificava il Texas, dove le autorizzazioni per lo stabilimento Mossi&Ghisolfi sono arrivate subito.
Oggi si parla della sua vicinanza a Matteo Renzi: era il consigliere per la burocrazia, delegato al taglio dei lacciuoli. Le partecipazioni alla Leopolda, le donazioni per sostenere il premier (una da 125 mila euro fatta con la moglie Ivana Tanzi) le spiegava così: «Mi piace il modo di fare di Renzi: non ha pregiudizi» quando cerca una soluzione. Ma restava un uomo concreto: «Ora è premier e presidente del consiglio, non ha più bisogno. Il partito lo finanzio eccome: pago la tessera». Negli ultimi mesi si era sottoposto a una dieta feroce, assottigliando la sua figura di quasi 30 chili. Una prova di volontà estenuante che, però – di nuovo – non spiega niente. I combattenti più duri a volte si spezzano all’improvviso, l’ultima battaglia è un dettaglio. A tutti gli altri resta, come ha detto ieri Renzi, il rimorso per non aver capito un dolore così grande, capace di portarsi via l’ingegnere dagli occhi (e dai sogni) di un colore impossibile.