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 2015  marzo 03 Martedì calendario

La scelta di cambiare sesso a 15 anni: «Così nostro figlio diventerà Irene». I genitori di un adolescente transgender: da piccola ci chiese perché non era una bimba. Le difficoltà alle elementari, gli aiuti degli psicologi. Tra poco inizierà la terapia ormonale

Massimo e Rita hanno ricevuto la lettera che ha cambiato la loro famiglia due anni fa, da quello che allora era il figlio tredicenne, con una raccomandazione: «Leggetela domattina». «L’abbiamo aperta in macchina, prima di andare al lavoro – racconta Rita —. C’era scritto che da quando aveva otto anni sapeva di essere una bambina nel corpo di un bambino. “Non ce la faccio più a sognare ogni notte al femminile e poi a svegliarmi non essendolo”, scriveva, “se potessi rinascere, non vorrei rinascere femmina, vorrei un corpo che sia in linea con la mia mente”. Chiedeva aiuto per diventare donna, perché se fosse andato avanti così si sarebbe ucciso». Dentro c’era anche il numero di un centro per la disforia di genere. «Improvvisamente tutti i tasselli di un puzzle che per anni non avevamo saputo risolvere sono andati a posto».
Oggi che ha 15 anni, quel figlio è per tutti Irene, anche se la sua transizione è solo all’inizio. Massimo e Rita, impiegati 50enni di un piccolo centro vicino a una grande città, hanno accettato di raccontare la sua e la loro storia a patto di rimanere anonimi (i nomi sono di fantasia): lo faranno oscillando tra il maschile, per parlare di Irene al passato («ma ci ha fatto giurare di non dire mai il suo vecchio nome»), e il femminile che segna il suo presente.
«Se non ci avesse scritto non so se avremmo capito: alla disforia di genere proprio non avevamo pensato», prosegue Rita. Eppure di segnali ce ne erano stati tanti: «Come il pianto disperato quando a quattro anni salì sul divano, con i singhiozzi che gli venivano dalla pancia, e mi chiese: perché non sono una bambina?». E ancora: «Quando ha capito che il mondo era diviso tra maschi e femmine gli è cambiato il carattere, ha smesso di essere un bimbo solare». «Nelle favole era Biancaneve o Cenerentola, mai il principe – aggiunge il padre —. Nei negozi di abbigliamento non andava dove c’era il segno dei maschi, ma quello delle femmine».
Alle elementari sono iniziati i problemi con i compagni, che lo prendevano in giro perché era troppo effemminato. Massimo e Rita hanno provato a rivolgersi prima alla pediatra e poi agli insegnanti. Nessuno ha saputo aiutarli. Fino a quelle parole affidate a carta e penna, sorprendentemente lucide per un tredicenne. «È difficile avere una figlia così intelligente – sorride la madre —, devi essere sempre pronta».
Dopo «48 ore di sbandamento completo», Rita e Massimo hanno chiamato il Gruppo Abele di Don Ciotti, che a Torino ha uno sportello sulla transessualità. Undici giorni più tardi, nel mezzo di un’estate afosa, l’appuntamento in un centro per la disforia di genere. «Volevamo essere sicuri che non stavamo facendo una follia per il desiderio di proteggere nostra figlia». Una serie di incontri e i test somministrati dagli psicologi hanno confermato la disforia di genere.
«Non è soltanto il fatto di avere interessi tipici dell’altro sesso, come capita per esempio alle ragazzine “maschiacci” – spiega Rita —. È guardarsi allo specchio e non riconoscersi. Sentirsi dentro una ragazza e vedere che tutti ti trattano come un maschio. Io, da allora, ho provato tante volte a immaginarmi come mi sentirei se una mattina cominciasse a crescermi la barba. Per nostra figlia è così tutti i giorni».
Irene, che grazie al Web sapeva tutto sulla transizione da uomo a donna, sperava di poter prendere subito gli ormoni. Ma per gli adolescenti la legge italiana prevede solo la psicoterapia. «A un certo punto ci ha detto che non ne aveva più bisogno. Poco dopo, però, ha smesso di mangiare ed è diventata anoressica – racconta Rita —. Rifiutava il suo corpo e siccome a una lezione di biologia a scuola le avevano spiegato che la malnutrizione blocca lo sviluppo, aveva cercato questa strategia».
Ci sono voluti cinque mesi per convincerla. «A giugno scorso ci ha fatto un discorso molto duro: “Per voi è facile: andate al lavoro, litigate, vi ammalate, però siete sempre voi. Io mi sveglio la mattina, mi metto una maschera e dico: ok, andiamo a recitare una parte”. Poi però ha ammesso di aver bisogno di aiuto e ha ricominciato a mangiare». Soprattutto, ha iniziato a vestirsi da ragazza, si è fatta crescere i capelli e ha assunto il nuovo nome, Irene.
«Ora che è alle superiori a scuola va molto meglio: ha fatto amicizia con le compagne, preside e insegnanti sono andate anche a parlare con la psicologa del centro». Eppure rimane difficile, perché Irene nel frattempo è entrata nella pubertà maschile e non sopporta di vedere il suo corpo cambiare. Spesso se la prende con il padre: «Dovevi proprio essere così alto e peloso?», gli rimprovera. Guarda con paura le gambe e le mani che si allungano.
«Vorremmo che potesse prendere i farmaci per sospendere la pubertà, le risparmierebbero tante sofferenze ora e in futuro, ma in Italia non si può», dice il padre. «Sta contando i giorni che le mancano ai 16 anni, come quando mio fratello faceva le croci sul calendario per la leva» aggiunge Rita. A quell’età potrà iniziare la terapia ormonale che renderà il suo corpo più femminile.
Anche per i suoi genitori è un traguardo, il primo di una lunga serie: «Sappiamo che avrà una vita più difficile degli altri – dice Rita —. Ma quando avrà un aspetto che le corrisponde sarà più serena e saprà farsi valere. Spero solo che possa vivere in una società più accogliente».