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 2015  febbraio 27 Venerdì calendario

«L’operazione Mondadori-Rcs? I profitti porteranno indipendenza». Ernesto Mauri, ad del gruppo di Segrate, replica ai dubbi di autori e intellettuali: «Obiettivo primario è mantenere l’autonomia delle diverse identità»

Pubblichiamo un ampio stralcio dell’intervista rilasciata dall’ad di Mondadori Ernesto Mauri al mensile Prima Comunicazione, oggi in edicola. Nell’intervista a cura di Dina Bara e Alessandra Ravetta, Mauri spiega i motivi per cui Mondadori ha avanzato un’offerta di acquisto per Rcs Libri, in vista del cda di Rcs MediaGroup del 2 marzo che discuterà della possibile cessione del settore Libri, commentando anche le critiche all’operazione giunte da alcuni autori e intellettuali.

«La situazione era questa – afferma Ernesto Mauri, amministratore delegato del gruppo Mondadori – il business principale, cioè i periodici in Italia, che nel 2008 fatturavano 600 milioni con 95 milioni di margine, nel 2013 erano scesi a 325 milioni con una perdita di 20. Non c’era certo tempo da perdere: quando la casa brucia bisogna spegnere l’incendio prima che attacchi le case vicine. Ed è quello che abbiamo fatto insieme a Carlo Mandelli: mettere, in sicurezza i conti della periodici. Perciò risparmio di costi, tagli, l’accordo sui contratti di solidarietà per i giornalisti, cambio di direttori, una riduzione del portafoglio di ben undici testate. E naturalmente un gran lavoro di risistemazione e di rilancio dei nostri brand più importanti, perché la Mondadori stava rischiando di appannare il primato dei suoi periodici».
Dica la verità, mentre tesseva la tela dell’operazione Rcs Libri non s’immaginava di scatenare un simile pandemonio.
«Diciamo che l’avevo messo in conto. Però mi faccia dire una cosa: io sono del tutto convinto che sarebbe un’operazione positiva per tutto il sistema editoriale italiano».
Intanto ci dica perché sarebbe positiva per la Mondadori.
«Il ragionamento è lineare. I due business fondamentali della Mondadori sono i periodici e i libri. Prima i libri avevano una marginalità inferiore ai periodici, adesso è il contrario e in più sono un settore dove il digitale non rappresenta un rischio ma una opportunità di crescita. È evidente che oggi i libri sono il business strategico e prioritario per Mondadori. Avremmo l’opportunità di crescere nel settore che può rendere di più e dove sappiamo fare molto bene il nostro mestiere».
Però il nuovo gruppo arriverebbe dall’attuale 26% della Mondadori quasi al 40% del mercato Trade, cioè narrativa, saggistica, illustrati, varia, e avrebbe anche la leadership nella scolastica. Insomma un gigante, certamente con un rapporto di forza diverso con i partner industriali e commerciali, Amazon per dirne uno, ma con una quota di mercato che nessun editore ha in Europa.
«Non sto dicendo niente di nuovo perché è già successo in altri settori, ma in un business in cui il mercato si restringe l’unica strategia sensata per mantenere redditività è non disperdere le forze e concentrarsi dove si può aumentare il proprio peso. Credo che sia davvero tramontata l’epoca in cui un editore poteva avere varie attività tutte più o meno della stessa rilevanza. Oggi conti solo se sei leader e la Mondadori vuole lavorare in mercati in cui è leader. Lei mi chiede della quota di mercato. È vero, ma il paragone va fatto sulle dimensioni totali di ciascun Paese. Per dire, Hachette in Francia con il 25% del mercato è tre volte la Mondadori. In un mercato del libro di dimensioni ridotte come quello italiano, di fronte alla contrazione delle vendite a cui assistiamo da tre anni a essere minacciata è la solidità economica delle case editrici e di conseguenza la loro possibilità d’investire. Prima di tutto sugli autori, che sono il vero patrimonio».
Proprio gli autori sono stati i primi a dirsi preoccupati per la possibilità di una concentrazione che temono metterebbe a rischio l’indipendenza e l’identità culturale dei diversi marchi.
«Questa è un’obiezione che davvero capisco poco ed è smentita dai fatti. Come si può pensare che un editore non preservi i suoi marchi? Mondadori ha dimostrato di saperlo fare perché l’obiettivo primario – e mi sembra di dire una cosa ovvia – è mantenere l’autonomia delle diverse identità, che sono un valore essenziale però per pagare gli autori, comprare i diritti. In una parola, nell’attuale situazione del mercato italiano del libro per difendere le case editrici bisogna ritornare a fare profitti. E questa è la migliore garanzia d’indipendenza. Ricordo che negli anni Ottanta l’Einaudi era in gravissime difficoltà economiche: Mondadori l’ha rilevata all’inizio degli anni Novanta e da quel momento è stata una storia costante di successi editoriali e di crescita economica».
Se anche si farà, l’acquisizione sarà comunque un’operazione lunga. Quindi torniamo all’attuale Mondadori Libri: a gennaio l’organigramma è stato rivoluzionato con l’uscita di Riccardo Cavallero, l’arrivo di Enrico Selva Coddè e il ritorno di Gian Arturo Ferrari. Quando è stato annunciato c’è chi ha parlato di restaurazione.
«Restaurazione? Mi viene da ridere. Le cose che faremo nei libri saranno molto avanzate, per questo abbiamo scelto Selva Coddè che vanta una grande conoscenza del gruppo e una lunga militanza in Einaudi. È inutile poi che stia a sprecare parole su Gian Arturo Ferrari, che con la sua esperienza ci darà un apporto nelle relazioni con gli autori e gli agenti. I nostri marchi editoriali vanno preservati, come è stato fatto con l’Einaudi che è il fiore all’occhiello della società, è il marchio che ha meno risentito della crisi delle vendite, ha mantenuto eccellenti i suoi risultati e non ha perso quote di mercato. Mondadori Edizioni ha un po’ sofferto, e questo non posso accettarlo».
Stiamo comunque parlando di un settore ancora molto redditizio per la Mondadori.
«Vorrei vedere che non fosse redditizio. L’Educational funziona benissimo, nel 2014 abbiamo mantenuto il fatturato praticamente stabile e negli ultimi quattro anni abbiamo aumentato il margine del 50% grazie all’ottimo lavoro di Antonio Porro. Nel Trade c’è invece un calo del mercato del 4% e comunque la redditività di quella che adesso è Mondadori Libri è scesa al 13%. Per me il riferimento non sono gli altri editori italiani, ma i grandi editori internazionali come Random House o Hachette che hanno un margine attorno al 16-18%».
Più o meno un anno fa aveva annunciato che stavate studiando un nuovo modello di bookstore e lo avreste presentato questa primavera.
«Confermo. Nel 2014 siamo tornati in utile con i periodici Italia, nel 2015 torniamo in utile con il retail. (...) Il primo esempio di nuovo bookstore lo apriremo a maggio a Milano, in via San Pietro all’Orto, nel cuore del Quadrilatero. Avrà all’interno un coffee shop e sarà focalizzato sui libri, con l’aggiunta di prodotti complementari e accessori di tecnologia, perché questa è la strada giusta, come dimostrano i risultati dei nostri negozi che l’anno scorso hanno aumentato la vendita di libri del 3,8% in un mercato che calava del 3,5%. (...) Dobbiamo centrare tutto sull’innovazione che ruota attorno al libro, cioè sulla multicanalità dei punti vendita, su un nuovo e più attento rapporto con i clienti e sul giusto assortimento dei prodotti. In un settore per noi importante e che sta attraversando un momento di difficoltà ogni centesimo va utilizzato per investire sul futuro».