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 2015  febbraio 27 Venerdì calendario

Stefano Massini, il ragazzo d’oro del teatro: «Scrivo per far discutere la gente». Classe ’75, è autore di “Lehman Trilogy” l’ultimo spettacolo di Ronconi. I suoi temi sono il lavoro, la finanza, Ilaria Alpi

Nella campagna intorno Firenze dove vive con la compagna, Stefano Massini, il giovane drammaturgo più ambito d’Italia, che pochi mesi fa, tra Europa e Stati Uniti, aveva una ventina di opere in scena, è a passeggio col cane. «Mi piace gironzolare in bicicletta e camminare. Ma non ho il senso dell’agonismo. Mai fatto una gara. Anche quando mi paragonano a questo autore o a quello avverto insofferenza. Detesto le classifiche, le top-ten, meglio questo meglio quello».
Se il termine non fosse fuori moda, Massini si potrebbe definire un bel giovanotto. Neanche quaranta anni e una sfilza di testi teatrali acclamati dappertutto: è sua la Lehman Trilogy in scena al Piccolo per la regia di Ronconi: meditazione sulla nascita e la caduta del capitalismo americano di cui la omonima banca d’affari, nel bene e nel male, fu protagonista.
Uno che resterà
Ovvio che per lui aver avuto l’onore di essere scelto da Luca Ronconi è stato come ottenere una corsia preferenziale verso il cielo. Ronconi è morto da pochi giorni e Stefano Massini detesta i così detti «ricordi post-mortem». Però due cose le vuole dire. «Una è che in questa grande “chat” collettiva dove tutto viene travolto e tritato per poi esser dimenticato, Ronconi è uno dei pochi che non soffrirà l’oblio. L’altra è che di tutti gli uomini di teatro incontrati, era il più giovane perché conservava una inesausta voglia di sperimentarsi e una attentissima capacità di ascoltare la realtà».
Il Piccolo, visto il successo della Lehman Trilogy e in segno di omaggio a Ronconi, ha deciso di proseguirne le repliche per tutto maggio: evento straordinario. Ma è in scena anche 7 minuti con Ottavia Piccolo e le altre nel ruolo di operaie tessili alle prese con il contratto di lavoro. E l’anno venturo sarà di nuovo al Piccolo con un testo già scritto e rappresentato, mentre Peter Brook e la figlia lo hanno chiamato a Nizza per una collaborazione stabile. Adesso si riposa: non scrive, non ne sente la necessità, dice.
Come ha fatto, in un’Italia dominata dalla gerontocrazia, a salire in vetta tanto in fretta? Tutto succede con il premio Tondelli ottenuto nel 2005 con L’odore assordante del bianco: «Non fu facile perchè non sono un autore generazionale: non scrivevo di tossici e di sballo, di legami sentimentali in crisi, di figli in conflitto coi padri. Non somigliavo ai coetanei trentenni. Miravo troppo in alto».
Una buona educazione
La scrittura non è sempre stata la sua vocazione. «Avrei dovuto diventare un egittologo. Mi sono laureato con una tesi su Iside nella Roma antica». Allora? «Durante il servizio civile, dal momento che non si poteva avere un contratto retribuito, mi sono offerto come assistente volontario al Piccolo dove ho conosciuto Ronconi che, leggendo alcuni miei appunti, mi ha spinto a scrivere». Un caso, quindi? «Mah. Sono cresciuto in una famiglia appassionata di teatro, cinema, arte. Ho avuto quella che si dice una buona educazione».
Scrivere per il teatro gli piace, spiega, perché è l’unica forma di spettacolo che abbia un pubblico: la tv si vede a casa, il cinema sul computer o sui dvd, le poesie si leggono in solitudine. È per questo pubblico che cerca temi alti: «Voglio discutere con la gente di argomenti su cui ciascuno ha già fatto le sue riflessioni per poi smontarle e rimontarle». Per fornirgli un messaggio? «Per carità. Non si paga un biglietto per sapere cosa pensa l’autore. Per tentare di spiegare la complessità in un mondo che tende alla semplificazione. Qualcuno ha detto che ci sono due forme di rito: quello religioso e quello laico. Il teatro è quello laico e allora il teatro deve proporre un testo che costi un impegno etico, un po’ di fatica».
Per questo Massini ha scritto Donna non rieducabile su Anna Politkovskaja, la giornalista uccisa in Russia per le sue denunce, Lo schifo su Ilaria Alpi, altra giornalista vittima della ricerca di verità, Balkan Burger sulla guerra nell’ex Jugoslavia, e African Requiem sulla fine del colonialismo. I suoi preferiti? Ne cita tre. La Trilogy perché ci ha messo tre anni a scriverne i trentasei capitoli. 7 minuti per la grande partecipazione della gente. Balkan Burger perché, nonostante abbia avuto scarso seguito, affronta il tema dello scontro tra religioni. Paura di perderlo questo successo non ne ha: «Non me lo aspettavo e lo vivo con distacco. La nostra è la società dei consumi: il mio potrebbe essere un momento occasionale. Vi assisto come affacciato a una finestra».