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 2015  febbraio 27 Venerdì calendario

Benvenuti in Crimea, la penisola che non c’è. Non ci sono bancomat, cellulari e solo un sito internet funziona. «Ma almeno qui non non c’è la guerra». Le aziende americane hanno chiuso i battenti: «Se ne sono andate dall’oggi al domani. In poche ore abbiamo perso le carte di credito Visa e Mastercard, il sistema di pagamento Paypal. E tutte le più importanti marche di computer. Peggio per loro, con l’aiuto di Mosca andremo avanti lo stesso»

Il primo ad abbandonarti è il telefonino: niente linea, niente roaming, praticamente morto. Poi, se ne vanno anche carte di credito e bancomat che qui servono solo a far ridere di gusto commessi e camerieri: «No, da noi non si possono più usare». E mentre rifletti su quali siano diventate le vere cose importanti della vita, ti aggrappi a Internet. Ma funziona solo un sito su tre. E compare pure una scritta perentoria che chiarisce: «Connessione interdetta nella vostra area». Benvenuti in Crimea, la penisola che non c’è.
Eppure, se pensi di essere a pochi minuti di volo di cacciabombardiere dall’orrore e dal sangue dell’Ucraina dell’Est, questo isolamento totale non è poi così spaventoso. Lo vedi nei volti distesi della folla che riempie l’aeroporto di Simferopoli, un tempo misero scalo di periferia e adesso cantiere simbolo del ritorno di Mamma Russia: più di cinquanta voli al giorno, nuovi terminal in costruzione, elicotteri per vip pronti a volare a Jalta, Balaklava, Evpatorije, sogno vacanziero di milioni di russi.
Difficile immaginare che proprio qui, esattamente un anno fa, cominciò quella sequenza di avvenimenti che avrebbero sconvolto l’Ucraina e tenuto in bilico la pace in Europa. Accadde proprio lì, in quel lezioso edificio staliniano che ora ospita un ristorante, la notte del 27 febbraio 2014, con la prima apparizione dei “gentili uomini verdi”, i soldati russi incappucciati e senza mostrine che avevano avviato l’“invasione mascherata” della Crimea. Operazione rapida e quasi indolore. Appena tre morti nella calca e nell’unica sparatoria del 28 mattina, davanti al Parlamento regionale sulla Piazza degli Eroi. Poi la dichiarazione di indipendenza, e il referendum per la richiesta di annessione a Mosca, votata dal 96,3 per cento degli elettori. Fino al solenne discorso di un raggiante Vladimir Putin che già il 21 marzo riabbracciava la penisola, «da sempre parte indissolubile della Russia».
Ricordare quei giorni e fare un bilancio è cosa semplice: «Guardando all’inferno del Donbass, si può solo dire che a noi è andata bene. Abbiamo chiesto aiuto e lo abbiamo ricevuto», dice Igor 24 anni, ex militante del “Blocco russo” che partecipò alle manifestazioni pro secessione. L’appuntamento è davanti a quello che tutti chiamano “il monumento a McDonald’s”, la palazzina del celebre fast food sulla piazza della Stazione ferroviaria. È sprangata, ma attraverso le vetrine si vedono tavoli, banconi e perfino tovagliolini e bustine di ketchup ancora in perfetto ordine. «Se ne sono andati dall’oggi al domani come tutte le aziende americane. In poche ore abbiamo perso le carte di credito Visa e Mastercard, il sistema di pagamento Paypal. E tutte le più importanti marche di computer. Peggio per loro, con l’aiuto di Mosca andremo avanti lo stesso».
Igor è tornato all’università. Molti dei suoi amici militanti sono stati inglobati in una sorta di milizia popolare. Altre migliaia sono andati volontari a combattere in Ucraina dell’Est. «Dal fronte – dice – mi fanno racconti raccapriccianti. Lassù la situazione è diversa dalla nostra. Qui siamo tutti russi, non esiste dissenso». Forse, in realtà esiste, ma non ha molta voce in capitolo. La minoranza tatara ha ottenuto concessioni economiche, condoni edilizi, dignità di lingua ufficiale. Ed è stata soprattutto epurata con silenzioso lavoro di intelligence, di ogni leader religioso e politico potenzialmente ostile alla Russia.
Anche il bilancio generale rispetto ai sogni e alle speranze di un anno fa, non è dei peggiori. I prezzi sono aumentati come in tutta la Russia colpita dalla crisi, ma in Ucraina le cose vanno molto peggio. A essere più soddisfatto è il ceto medio. Mosca ha triplicato le pensioni, raddoppiato gli stipendi degli statali e fatto un po’ di scena per marcare il proprio ritorno: uffici pubblici rimodernati, strade ripulite, avviata la costruzione di centri commerciali. Ai ricchi è andata peggio. La Russia ha nazionalizzato alberghi e altre proprietà di cittadini ucraini, requisito le dacie sulla costa tra Balaklava e Jalta, compresa quella che fu di Gorbaciov sulle acque trasparenti di Foros. Più complicata la vicenda dei risparmiatori. La Privat bank, dell’oligarca ucraino Kolomojvskj che monopolizzava gli sportelli della Crimea ha chiuso i battenti subito dopo l’annessione. Un miracolo per migliaia di cittadini che avevano mutui o prestiti che non dovranno mai più restituire. Un disastro per chi aveva dei depositi che la cassa di sovvenzione russa ha rimborsato solo parzialmente. Kolomojvskij ha ammesso che lui alla fine ci ha guadagnato. E continua a finanziare il battaglione di volontari che combatte i russofoni nel Donbass.
Resta la questione più amara dell’isolamento. Sotto alla statua dell’ammiraglio zarista Nakhimov sul porto di Sebastopoli, la bionda Olga, 32 anni, traduttrice, spiega il malessere: «Le sanzioni occidentali stanno punendo soprattutto noi cittadini». Come quasi tutti gli abitanti di Crimea, Olga ha ritirato il suo nuovo passaporto russo ma conserva con cura quello ucraino. Se volesse andare all’estero proverebbe a usare il secondo: «Un visto a un cittadino russo di Crimea non lo darebbero mai». E la paura delle sanzioni non riguarda solo gli occidentali. Le banche e le aziende di Mosca temono di essere punite per essere in affari con la Crimea. Per questo compaiono nomi mai visti di società locali come la banca Rublo o il fast food Tonyburger che servono solo in realtà a coprire aziende russe. Paura estesa a tutti i settori, perfino alle squadre di calcio come il Tavrija di Simferopoli o l’Fk di Sebastopoli. Non giocano più nel campionato ucraino ma nemmeno in quello russo visto che la Federcalcio di Mosca non vuole grane con la Uefa. Anche per i computer è necessario comprare quelli che arrivano con una registrazione presso una qualunque città che non sia di Crimea, altrimenti semplicemente non funzionano. E se vuoi andare su Facebook o Twitter devi falsificare i codici e far finta di connetterti da chissà dove. Olga ne soffre: «Dobbiamo far finta di non esistere. E chiunque venga da noi a spendere un soldo, amico o nemico che sia, finge di essere da una altra parte». Poi sorride: «Ma almeno non c’è la guerra». Unica grande consolazione nella Repubblica che non esiste.