la Repubblica, 27 febbraio 2015
La Rai, la lottizzazione «di governo» e gli Accordi della Camilluccia. Così il dogma della Santa Trinità dei telegiornali diceva: uno alla Dc, uno al Psi e uno Pci (poi Pds) ovvero TeleNusco, TeleCraxi e TeleKabul
Cala la notte sulla lottizzazione «perfetta», o meglio: su quel poco, pochissimo che rimane di TeleNusco, TeleCraxi e TeleKabul.Con tali nomignoli, negli anni 80, si qualificavano correntemente il Tg1, il Tg2 e il Tg3 all’apice dell’eccellenza spartitoria del servizio pubblico. I loro direttori in realtà cambiarono con una certa frequenza, a seconda dei rivolgimenti interni ai partiti. Ma l’appartenenza era quella e per quanto il sottile «politichese» utilizzasse espressioni di sfuggente ipocrisia tipo «pluralismo», «aree» e «derivazioni culturali», il dogma della Santa Trinità dei telegiornali diceva: uno alla Dc, uno al Psi e uno Pci (poi Pds).A Psdi, Pri e Pli, cui senza misericordia in tali frangenti si attribuiva la dizione di «laici minori» era destinato il terzo e misero canale della radiofonia, con un mini Gr. Il primo e il secondo erano appaltati rispettivamente ai socialisti e ai democristiani.Più che tacita, la lottizzazione (termine coniato da Alberto Ronchey nel 1968 in una lettera a Ugo La Malfa) era implicita al sistema di nomina del CdA previsto dai cosiddetti «Accordi della Camilluccia». Che era una villa – abusiva, ma con tanto di caminetto – che i dc possedevano sulle pendici di Montemario. Qui alla metà degli anni 70 era stata forgiata la lottizzazione cosiddetta «di governo» perché includeva solo Dc e Psi. A piazza del Gesù toccava quindi il direttore generale e il direttore del Tg1; a via del Corso il presidente e il direttore del Tg2; e giù a cascata, secondo un andazzo che si rispecchiava nella storiella per cui se si dovevano promuovere tre giornalisti, uno doveva essere democristiano, uno socialista e uno bravo.Ma dopo la riforma (legge 103), il referendum sul divorzio, la sentenza che liberalizzava l’etere, la spinta al decentramento, e altri sviluppi politici ed elettorali, il Pci reclamò il suo lotto di potere in Rai: e piano piano gli fu concessa la Terza Rete (1979). Il consiglio d’amministrazione, nel frattempo, sanzionava i nuovi equilibri fra i partiti in Rai. Craxi, cui non mancava un certo piglio ribaldo, li proclamò una sera a Tribuna politica come un numero di telefono imparato a memoria: 643111.E fu l’aurea stagione, appunto, di Tele-Nusco, TeleBettino e TeleKabul (dove regnava l’indimenticabile Sandrino Curzi). Ma la faccenda era molto più complicata. E non solo perché in Rai i democristiani si alternavano secondo distinzioni e avvicendamenti correntizi e regionali che i telespettatori più avveduti impararono a cogliere sul video dagli accenti dei giornalisti, per cui i fanfaniani parlavano toscano, i demitiani avellinese, i forlaniani pesarese e così via.E neppure per via della guerra per bande che si combattevano i craxiani: dopo presidenti e direttori di tg saltati di continuo, alla fine furono scoperchiate addirittura le alcove, con dirigenti di rete a rinfacciarsi o a dirsi vittime di un potente e nemmeno troppo occulto «albero delle zoccole».No, le complessità della lottizzazione perfetta – come la documentò il professor Paolo Mancini in un libricino dal titolo appunto «Elogio della lottizzazione» (Laterza, 2009), pure dotato di preziose tabelle con le nomenklature succedutesi sopra il Cavallo morente – erano aggravate da un micidiale congegno di ingegneria del potere e del controllo detto «zebratura». E quindi al vertice di ogni tg, di ogni gr, di ogni rete o direzione era previsto un incastro di democristiani, socialisti e comunisti. I quali allora, bisogna pur dire, rappresentavano la stragrande maggioranza degli italiani.Poi non più, ma quando i partiti andarono a ramengo, si ebbe un ventennio di lottizzazione leggera. Per cui agli orfani dimenticati e residuali dei partiti, si aggiunsero i berlusconiani. Adesso ci pensa lui, Renzi, a sistemare le cose. «Beati i perplessi», secondo Guido Ceronetti.