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 2015  febbraio 26 Giovedì calendario

Davide Faraone e Gioacchino Alfano, il rampante e il timido: ritratto dei gemelli diversi nel cuore del potere

Davide Faraone (d’ora in avanti F) è un quarantenne in carriera. Chiassoso renziano, palermitano, sottosegretario all’Istruzione. Gioacchino Alfano (d’ora in avanti A) ha 52 anni, timido, appartato, umile portabandiera dell’Ncd al ministero della Difesa. Da Sant’Antonio Abate, provincia di Napoli
(F) Sono perito chimico, mi mancano due esami alla laurea. Mia madre aveva ragione a dirmi di completare gli studi, perché adesso sono sottosegretario all’Istruzione e incoraggio quei sorrisetti maliziosi come il tuo. È stata la politica a portarmi via il tempo. Praticamente vivo sui marciapiedi da quando avevo 14 anni. Ho sempre lottato per sbaraccare il vecchiume, il notabilato. Non sono renziano. Renzi è proprio dentro di me. Capisci? Io e lui siamo la stessa cosa. Avevamo le stesse idee anche senza conoscerci.
(A) Io, invece, pur essendo in Parlamento dal 2001, credo di essere l’unico deputato di Forza Italia al quale Silvio Berlusconi non ha mai rivolto la parola. Non per astio, è che proprio non mi conosce, se gli passassi accanto mi scambierebbe per un viandante. Non c’è stata mai occasione per presentarci. Una sola volta mi ha telefonato (ma su suggerimento di Angelino Alfano) per gli auguri. Si sposava mia figlia, eravamo tutti al matrimonio, e squillò il telefono. Ora poi sono passato con l’Ncd e quindi non ci saranno altri motivi perché lui sappia di me.
(F) Sembro arrogante? Stamane in tv uno mi ha detto proprio così: lei ha un tono arrogante! Un po’ mi dispiace perché apparire presuntuoso non è proprio gratificante. Forse perché sono talmente convinto delle nostre buone ragioni, del carisma di Matteo (guarda che Matteo è una forza della natura, una cosa mai vista in politica. Fa venire i brividi, ti dico) che le espongo con una tale veemenza da apparire come non vorrei.
(A) Ognuno deve misurare i passi che può fare e quelli che non si può permettere. Conosco i miei limiti e so che sono giunto dove mai avrei nemmeno immaginato. Quando torno nel mio paese, si chiama Sant’Antonio Abate – tra Gragnano e Castellammare di Stabia – e sono sull’auto blu del ministero della Difesa, un po’ mi vergogno. I compaesani mi guardano e noto che non c’è neanche più invidia, ma solo rabbia. E fa male.
(F) Matteo mi ha detto: vai al ministero e apri porte e finestre. Basta sindacati, basta burocrati! Dobbiamo allagare la scuola di novità, farle respirare aria fresca. Voglio diventare ministro? Sarei poco sincero se non ammettessi che l’ambizione c’è. Essere al potere significa avere la possibilità di cambiare le cose. Mi piace un sacco questo ministero.
(A) La Pinotti mi ha dato la delega delle caserme in disuso. Abbiamo un grande patrimonio immobiliare che sto cercando di trasferire agli enti locali. Ma che fatica! Tento di fare bene il mio lavoro perché so che non sono un’aquila. E so anche che non mi capiterà più questa occasione.
(F) Non è che voglio stare tutta la vita qui, ma ho appena iniziato. Sì, è vero: sono stato il più giovane consigliere comunale di Palermo, poi il più giovane consigliere regionale. Ma ho in testa di fare anche altro. Scrivere mi piace troppo. Un giorno farò il giornalista. Sto tenendo in caldo le relazioni. Mi piace così tanto scrivere che i miei interventi sono romanzati. Cado nella letteratura senza volerlo. Cioè: non faccio gli interventi usuali, tutto politichese e basta. Allargo, allungo.
(A) Con mia moglie dico sempre che il futuro è a rischio. La politica ti frega sul più bello. Magari alle prossime elezioni non sarò rieletto. Perciò oggi cerco di risparmiare, qualcosa metto da parte perché ho quattro figli, e purtroppo stentano a trovare una loro strada. Se proprio dovesse andar male, venderò casa.
(F) Sì, lo so. Dicono che mio padre mi ha aiutato. È vero, ma non ha fatto cose illegali. Mi ha dato una mano come un normale papà che vuole vedere il figlio crescere. E non è vero che Vladimiro Crisafulli (ras delle tessere siciliane, ndr) è stato mio amico, non è vero quello che dice, che mi ha salvato dalle cazzate che avrei fatto.
(A) Facevo il commercialista nel mio paese e stavo bene. Mi chiamarono per guidare una lista al comune. Resistetti per un po’, ma per non farmi dare del codardo accettai. Poi divenni sindaco, sindaco per caso, e sempre fortuitamente arrivai alla Camera. Non sono uno stratega della politica, perciò decisi di impegnare la mia migliore qualità: la dedizione alla causa. Alle sette e trenta del lunedì arrivavo in Parlamento e lì stavo tutto il giorno, fino a sera e tutta la settimana, fino al venerdì. Vivevo dalle suore, mi bastava. I colleghi capirono che potevano fidarsi di me, sostituire chi non c’era, leggere un testo al posto di chi non aveva voglia. Ero al Bilancio e Alfano mi propose di fare il relatore di maggioranza.
(F) Sono un professionista della politica, ho sempre battuto le periferie. Alcune volte ho sbagliato. Sono scivolato su una buccia di banana come quando mi accusarono di voto di scambio per aver promesso a una cooperativa di disoccupati di aiutarli nel caso fossi stato eletto sindaco di Palermo. Striscia la notizia montò su un tale casino... Ma la lezione mi è servita.
(A) Al tempo in cui sono stato relatore della legge-mancia (legge che distribuisce fondi a pioggia, ndr) ho sempre cercato di agevolare le richieste dei colleghi. Per quel che mi riguarda ho dato alle parrocchie. Alla mia parrocchia ho fatto avere 700 mila euro per l’acquisizione di un grande fabbricato a uso comunitario. Non tutti hanno capito, molti hanno contestato la natura clientelare, molti altri hanno detto che io avrei favorito il prete piuttosto che i bisognosi. L’unico problema è che ora mancano i soldi per ristrutturare l’edificio, e quindi è un po’ tutto fermo.
(F) È veramente insopportabile stare qui al ministero con mia madre che mi telefona e mi dice: “Dovevi laurearti. Adesso che figura fai?”.