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 2015  febbraio 26 Giovedì calendario

Cresce il fronte anti Boldrini nel Pd: «Troppe uscite fuoriluogo». E la minoranza democratica insorge contro la convocazione al Nazareno dei gruppi parlamentari

«Sì, c’è un problema Boldrini». Si fa serio serio, Ettore Rosato, vice vicario dei deputati del Pd, triestino abituato a dire pane al pane, che quando c’è da battagliare non si tira indietro. Il vice del capogruppo Roberto Speranza (che invece ha taciuto «colpevolmente», secondo altri renziani), dà voce al malcontento, di più, all’irritazione dei parlamentari dem per le sortite recenti del presidente della Camera, «sia chiaro, non è un problema di sostituzione, non esiste, non è possibile e noi non lo vogliamo, ma uscite come quella sull’uomo solo al comando non sono istituzionali, sono prettamente politiche», insiste Rosato.
LE POSIZIONI
Laura Boldrini non è isolata, comunque. La minoranza del Pd fa quadrato, e del resto fu proprio la minoranza a eleggerla presidente quando era maggioranza. Dice Nico Stumpo, bersaniano doc: «Ma insomma, un presidente della Camera che richiama l’attenzione sulla mole di decreti e di fiducie, è il minimo che possa fare. Boldrini sta facendo bene, io la rivoterei come presidente». «Boldrini andrebbe solo ringraziata, difende l’autonomia del Parlamento», dà manforte Stefano Fassina, subito rimbeccato dal renziano Andrea Marcucci: «Se qualcuno attacca Renzi, è matematico, subito arriva la solidarietà di Fassina». Un altro che le cose non le manda a dire è Roberto Giachetti, vice presidente di Montecitorio, che su Boldrini dice: «Basterebbe seguire l’esempio che sta dando il capo dello Stato, prudenza e coscienza del proprio ruolo, poche parole, rigore, lucidità, determinazione e grande consapevolezza del ruolo di arbitro che agisce per stemperare i conflitti».
Già, il capo dello Stato. «Adesso al Quirinale non c’è più Napolitano che faceva l’avvocato di Renzi, ora con Mattarella la musica è cambiata», diceva ad alta voce un po’ tutto lo stato maggiore di Sel, il partito che ha candidato Boldrini, e che con Vendola in testa assieme ai capigruppo Scotto e De Petris sono stati ricevuti al Colle la scorsa settimana. Ieri, davanti ai giornalisti, lo stesso trio si è prodotto in un attacco frontale contro il premier e «il governo Speedy Gonzales che macina un decreto a settimana superato solo da Berlusconi», il tutto per «tenere il Parlamento al guinzaglio e con la museruola», sicché «bene ha fatto Boldrini ad alzare la voce e a difendere le Camere, che non possono essere un luogo di maggiordomi».
IL CLIMA
In questo clima è maturato l’uno-due boldriniano, in un quadro di polemiche a tutto spiano più o meno su tutto, non c’è materia in discussione in Parlamento che non registri dissenso, critiche, polemiche dentro il Pd. Finanche la convocazione al Nazareno per venerdì dei gruppi parlamentari per discutere di fisco, Rai, scuola, è stata rispedita al mittente dalle minoranze e da Pier Luigi Bersani in persona: «Siamo seri, non si può discutere un’ora di temi così importanti». Pre dichiarazione di guerra seguita da annunci di disertare l’appuntamento, «io forse mi eserciterò via twitter», fa sapere l’altro bersaniano Alfredo D’Attorre.
LE POLEMICHE
Dalle parti di Area riformista pensano probabilmente che il gran lavorio correntizio in atto, le polemiche con Boldrini, la levata di scudi al solo annuncio di voler mettere mano alla Rai, siano sintomi di difficoltà nel renzismo. «Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente», il commento maoista di Stumpo. Da palazzo Chigi replicano ironici: «Se facciamo le cose da soli, si arrabbiano perché non li coinvolgiamo, li coinvolgiamo e si arrabbiano perché le forme non sono quelle che vogliono loro. Convochiamo la direzione e vogliono la segreteria unitaria, facciamo la segreteria unitaria e vogliono i gruppi. Ma si rendono conto che il partito non ne può più di divisioni?».