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 2015  febbraio 26 Giovedì calendario

La camorra vuole impedire il rilancio della reggia dei Borbone di Carditello. Iniziati i lavori di restauro. La lettera all’ex ministro Bray: «Smettila o sei morto»

«Piantatela di parlare di Carditello o siete morti». C’è una sola risposta che il governo può dare alle minacce contro Massimo Bray e Nadia Verdile, la cronista che da anni denuncia il degrado della reggia borbonica nella Terra dei Fuochi. Deve raddoppiare gli sforzi e gli investimenti e la presenza di agenti e carabinieri: la battaglia di Carditello va vinta. E la camorra deve uscirne umiliata. Ne va dell’onore dello Stato.
Cosa fosse Carditello i nostri lettori, dopo vari reportage, lo sanno bene. Era la Versailles agreste dei Borbone, progettata come reggia di caccia da Francesco Collecini, braccio destro di Luigi Vanvitelli, e poi trasformata in una villa delle delizie al centro di una tenuta agricola di oltre duemila ettari bagnati dalle acque dei Regi Lagni. Un luogo magico, che spinse Goethe a scrivere affascinato che bisognava andar lì «per comprendere cosa vuol dire vegetazione e perché si coltiva la terra (...). La regione è totalmente piana e la campagna intensamente e diligentemente coltivata come l’aiuola di un giardino».
Come sia stata trattata, quella meravigliosa residenza, è una vergogna. Prima l’abbandono dei Savoia che se n’erano impossessati, poi l’affidamento in gestione al capo della camorra locale, poi il frazionamento della tenuta col passaggio di immobili e arredi all’Opera nazionale combattenti, poi ancora l’occupazione dei nazisti e successivamente l’ingresso nel patrimonio immobiliare del Consorzio generale di bonifica del Volturno, un carrozzone sprofondato nei debiti.
Il colpo di grazia, racconta Nadia Verdile nel libro La Reggia di Carditello. Tre secoli di Fasti e Feste, Furti e Aste, Angeli e Redenzioni, lo diede la politica cieca e collusa: «Nel 2008, nel pieno dell’emergenza rifiuti in Campania, il Real Sito di Carditello venne inglobato in quella che è passata alla storia con il nome di “Cittadella della monnezza”, una concentrazione di discariche collocate tra i comuni di Santa Maria La Fossa e di San Tammaro. Le due più vicine alla reggia, poche centinaia di metri, erano quelle di Ferrandelle, realizzata sui terreni sequestrati al criminale Francesco Schiavone, detto Sandokan, capo del clan camorristico dei Casalesi e quella di Maruzzella Tre, realizzata in tenimento santammarese, nell’ambito del sistema provinciale di smaltimento dei rifiuti che prevedeva la costruzione nell’area attigua di un sito di compostaggio e di un depuratore di percolato oltre al già esistente digestore anaerobico di Salerno. Accerchiato da due discariche di Stato, il Real Sito divenne, a causa del vergognoso abbandono a cui era ormai lasciato, anche discarica abusiva di rifiuti tossici e pericolosi...».
Finché arrivò la razzia finale, compiuta dai camorristi della zona che per anni, dopo un parziale restauro, si sono portati via tutto: dai camini ai cancelli, dai pavimenti delle altane ai marmi delle scalinate, dalle colonnine delle balaustre a brandelli di affreschi che i casalesi, nella loro animalesca ignoranza, cercarono di strappare facendo danni irreparabili. Il tutto per «ingentilire» le loro ville pacchiane nella poltiglia urbanistica della provincia casertana.
Per questo Carditello è diventata un simbolo. Perché a un certo punto è stato chiaro che lì lo Stato si giocava più di una splendida reggia. E che si imponevano tre risanamenti paralleli: quello artistico e monumentale della Real Delizia, quello ecologico del territorio ucciso dai veleni, quello etico di un territorio pesantemente infiltrato dalla criminalità organizzata.
E per questo tutti gli italiani che hanno a cuore il nostro patrimonio salutarono con sollievo, nel gennaio 2014, la decisione dell’allora ministro dei Beni culturali Massimo Bray di acquisire la reggia di Carditello per ripulirla, restaurarla, restituirla a nuova vita dopo decenni di abbandono.
Per farne cosa? Forse una tenuta agricola modello affidata all’università e rilanciata con l’ambizione di dimostrare come la Terra dei Fuochi possa tornare all’antica vocazione. Forse un centro di eccellenza per la ricerca scientifica o altro ancora. Certo uno spazio aperto al turismo più colto italiano e internazionale. In ogni caso, uno spazio «vissuto», col concorso degli enti locali e delle associazioni anti-camorra, tutti i giorni. Così da non ripetere l’errore del passato: guai se, dopo il nuovo restauro, la reggia fosse nuovamente lasciata vuota e abbandonata alle incursioni dei vandali camorristi per anni tenuti a bada, per quel po’ che poteva, solo da Tommaso Cestrone, il volontario della Protezione Civile che dedicò gli ultimi anni di vita, nonostante le minacce e le intimidazioni e l’uccisione delle sue pecore, a proteggere quanto restava della dimora.
E qui è il punto: recuperati tre milioni di euro per il restauro dal ministero dei Beni culturali ai tempi di Bray più altri due annunciati mesi fa dall’assessore al Turismo e ai beni culturali della Regione Campania Pasquale Sommese, i restauri sono finalmente cominciati. Ma si stanno accumulando ritardi sul fronte della fondazione che dovrebbe gestire il «dopo». Ritardi così pesanti, di rinvio in rinvio, da spingere quanti hanno a cuore il progetto ad essere sempre più preoccupati. E a lanciare l’allarme: attenzione, rischia di nuovo di saltare tutto.
Proprio ciò che sperano quanti, giorni fa, hanno inviato al Mattino una lettera a Bray («Smettila di interessarti di Carditello o sei morto») e una alla Verdile: «Smettila di scrivere di Carditello o sei morta». Sotto, una croce. Minacce serie, per gli investigatori. Al punto che si moltiplicano le testimonianze di solidarietà che sfoceranno domenica in una manifestazione di sostegno.
A chi dà fastidio l’ipotesi che la reggia sia restaurata e restituita ai cittadini? A chi continua a gestire le discariche illegali e il traffico di rifiuti tossici e punta ora sull’affare del risanamento. Che potrebbe finire nelle stesse mani di quanti seminarono i veleni. Insomma, degli imprenditori della paura e della morte. Quelli che non possono accettare che la battaglia di Carditello venga vinta dallo Stato. Esattamente il motivo per cui lo Stato deve assolutamente vincere.