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 2015  gennaio 30 Venerdì calendario

La rivoluzione cinese passa dalla tavola: addio al riso, ora si mangiano patate. Anche grano e mais, che sono da millenni gli alimenti base del popolo, ora costano troppo

Riso addio. Si apre in Cina l’era della patata. L’annuncio dei leader comunisti scuote 1,3 miliardi di cinesi: il tubero importato dall’America Latina sotto la dinastia Ming diventerà l’alimento base della loro dieta quotidiana. Non è la rivoluzione di Mao, ma dal piatto al paesaggio i cambiamenti promettono di risultare ancora più profondi. Per millenni i cinesi hanno vissuto con tre prodotti: riso, grano e mais. Anche il loro stomaco, assicurano gli scienziati, si è adattato a questa immutabile classifica biologica. Ora però non possono più permettersi il lusso dei cereali. Il riso richiede troppa acqua, il grano troppi terreni, il mais troppi anti-parassitari. Anche il tè, amante del fresco e dell’umidità, diventa un eccesso e viene soppiantato dal rustico caffè. Sconvolgimento del clima, boom demografico e meccanizzazione dei campi spingono così l’invasione asiatica dell’umile patata, apripista di agricoltura e alimentazione straniere. Simbolo della tavola americana, i cinesi hanno sempre considerato il “fagiolo di terra” un sotto- prodotto per gente povera e di montagna. Il governo invece spiega oggi che è «ecologica, economicamente competitiva e ricca di sostanze preziose».
L’ordine “meno riso, più patate” cambierà il profilo del Paese e la temuta «occidentalizzazione della Cina», politicamente scorretta, risulta così, per necessità, gastronomicamente auspicata. Nel paniere cinese del Duemila, grazie al denaro, finiscono per la prima volta anche latte, cacao, carne rossa, vino e perfino il quasi ignoto zucchero. La vera rivoluzione però è quella imposta sottoterra. Secondo il ministero dell’Agricoltura la coltivazione della patata dovrà più che raddoppiare, arrivando entro due anni a 13 milioni di ettari. Ogni cinese consuma oggi 37 chili di tuberi all’anno, rispetto ai 56 di Usa e Gran Bretagna, o ai 63 di germanici e russi. Pechino ha deciso che il deficit sarà colmato entro il 2020.
Sconvolgere l’alimentazione popolare non è semplice nemmeno per un regime autoritario. La propaganda, non senza autoironia, assicura però che questa volta «è davvero per il bene collettivo». La patata soppianterà riso e grano perché resiste meglio a freddo, siccità, sbalzi di calore e terreni sterili, o avvelenati. Scopre cioè di essere il vegetale perfetto per ciò che anche l’Asia è diventata: alte rese economiche, basse pretese ambientali. Per il partito offre inoltre «valori nutrizionali superiori ai concorrenti» ed è «l’alimento ideale della contemporaneità». Tutti convinti, tranne la gente. Un sondaggio della tv di Stato rivela che il 74% dei cinesi non pensa affatto di rinunciare agli amati cereali, base per pasta, pane al vapore e zuppe. Nel Sud i terrazzamenti delle risaie sono l’icona del paesaggio e ancora ritmano giorni e digestione di milioni di contadini. Nelle regioni centrali e del Nord, grano e mais occupano il 66% delle campagne e servono a sfamare anche polli e maiali, spina dorsale della cucina han. Funzionari rossi e mercati globali si chiedono così se la Cina sia pronta per sconvolgere tavole e campagne, adottando la patata quale prodotto del futuro.
Per l’esplosiva classe media è anche un problema d’immagine. L’obbligo di patata suona quale minaccia d’austerità, come se la seconda economia del mondo imponesse il ritorno ai razionamenti delle carestie maoiste. Il governo assicura invece che tutto il pianeta sta adattando le colture alla crescente imprevedibilità del clima.