Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  gennaio 30 Venerdì calendario

Monti, Gasparri, Dellai. In aula tutti cercano Napolitano per abbracciarlo, per un selfie o per sapere chi ha votato: «Queste sono domande proibite. Posso solo dire che in via di principio sono contento per il mio successore, chiunque sia»

Un selfie con i peones? Perché no, dice Giorgio Napolitano mentre si siede tra i banchi del Pd. Una foto pure con Mario Monti? Va bene anche quella, nel giorno del grande «ritorno a casa». C’era del freddo tra i due protagonisti del ribaltone dopo la scelta del Professore, due anni fa, di candidarsi alle elezioni e di perdere la sua neutralità, di sgualcire l’abito di riserva della Repubblica che Napolitano gli aveva cucito addosso. Invece ora eccoli insieme accanto al seggio: strette di mano, sorrisi, cordialità.
È la prima volta che un presidente uscente non aspetta sul Colle per lo scambio di consegne ma si presenta dimissionario alla Camera per votare chi lo dovrà sostituire. Intanto benedice Sergio Mattarella, «figura di alta sensibilità istituzionale». La pratica dura poco, un quarto d’ora appena, e sono per Napolitano quindici minuti densi di emozioni. Quando spunta nell’emiciclo, verso le 15, viene accolto da un boato dal centrosinistra. Applausi a scroscio, qualcuno china un po’ la testa e sembra quasi inchinarsi davanti a Re Giorgio, mentre i grillini fischiano e gridano «buh», i leghisti alzano dei cartelli con scritto «non moriremo democristiani» e i parlamentari del centrodestra si alzano senza battere le mani.
Un piccolo corteo conduce il senatore a vita nel settore del Pd e lui si accomoda in prima fila, proprio sotto Anna Finocchiaro, che vigila, dirige il traffico e lo protegge dagli abbracci troppo impetuosi. Tutti lo cercano, tutti lo toccano, tutti vogliono farsi il selfie con lui, finché l’inflessibile Laura Boldrini accende il microfono e ricorda che «è proibito scattare foto in aula».
Intanto la chiama è cominciata. Napolitano si alza e a piccoli passi raggiunge il «catafalco», chiude la tendìna e resta dentro qualche secondo, il tempo necessario per scrivere un nome, o farlo credere. Quando esce, sul lato del centrodestra, ritrova Monti e gli ristringe la mano, incontra Maurizio Gasparri che lo saluta con grandi sorrisi e grande enfasi, s’imbatte in Lorenzo Dellai che lo ringrazia, si divincola a fatica e scortato dai commessi raggiunge l’uscita.
Prima di tornare a casa l’ex capo dello Stato si concede un piccolo giro del Transatlantico. «Volete sapere per chi ho votato? Queste sono domande proibite. Posso solo dire che in via di principio sono contento per il mio successore, chiunque sia». Di fronte alla porta della buvette viene fermato da Ignazio La Russa che lo «ringrazia per l’impegno». Sta per andarsene, ma si ritrova circondato da giornalisti. «Spero che non abbiate intenzioni aggressive», scherza. E Mattarella? «Lo conosco bene, è un amico. Siamo stati ministri nel governo Prodi. È persona di assoluta lealtà, correttezza, coerenza democratica, alta sensibilità costituzionale». Lo ha votato? Silenzio. Forse alla quarta.