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 2015  gennaio 30 Venerdì calendario

Il Califfato vince o perde? Per alcuni è alla disperazione, ma l’Isil non appare così in rotta, nonostante la sconfitta subita da parte dei curdi a Kobane. Continua a far male, a ricattare l’Occidente e gli stati musulmani. Non solo: dal Sinai alla Libia, dal Maghreb al Sahel, conta nuove affiliazioni di jihadisti che issando la bandiera nera come fosse un franchising

Il Califfato vince o perde? Per alcuni è alla disperazione e gli americani sottolineano che seimila raid aerei hanno decimato le truppe di Abu Bakr Baghdadi. Ma l’Isil non appare così in rotta, nonostante la sconfitta subita da parte dei curdi a Kobane. Continua a far male, a ricattare l’Occidente e gli stati musulmani, tenendo sotto tiro la Mesopotamia con la più stretta applicazione della sharia. Non solo: dal Sinai alla Libia, dal Maghreb al Sahel, conta nuove affiliazioni di jihadisti che issando la bandiera nera come fosse un franchising di successo conquistano terreno e moltiplicano gli attentati terroristici.
In Occidente, soprattutto dopo i massacri di Parigi, si guarda al Medio Oriente con lenti deformanti che non sono le stesse degli arabi. Ci domandiamo, per esempio, se l’Isil sia popolare o impopolare e come riesca ancora ad avere il controllo di ampie zone della Siria e dell’Iraq senza un sollevamento degli stessi sunniti che afferma di volere difendere dagli sciiti di Baghdad e dal regime alauita di Damasco. Ma non tutti, purtroppo, la pensano come gli eroici curdi di Kobane, anzi.
Per capire il fenomeno del Califfato è interessante quanto afferma il segretario generale dell’opposizione siriana (Soc) Yahya Maktabi. «I bombardamenti in Siria della coalizione anti-Isis danneggiano l’opposizione moderata in quanto sono visti dalla popolazione come del tutto slegati agli obiettivi della rivoluzione contro il regime di Damasco e incentrati esclusivamente sulle esigenze di sicurezza dei Paesi partecipanti. Il fatto che le stesse aree finiscano per essere bombardate il mattino dalla coalizione e la sera da Assad complica le cose e spinge molti a vedere gli estremisti del Califfato come i veri oppositori del regime, sfilando il tappeto sotto i piedi dei moderati». Forse non tutto quel che dice Maktabi è esatto ma è già una spiegazione più approfondita di quelle correnti.
Il Medio Oriente rigurgita di interrogativi senza risposta che corrispondono ad altrettante guerre o conflitti interni. Che accade sul Golan tra Hezbollah e Israele? Ce la farà l’Egitto a tenersi in piedi e a contenere i jihadisti in Sinai? Cosa avverrà in Siria e Iraq se il Califfato sarà sconfitto? Come verrà divisa la Mesopotamia? E dove va la Turchia? Accetterà mai Ankara uno stato curdo? Ci saranno ancora attentati dei jihadisti in Europa? Il petrolio scenderà ancora? Si farà l’accordo sul nucleare con l’Iran che potrebbe cambiare i dati di tutta la regione? Per nessuna di queste domande c’è una risposta soddisfacente. Non ne ha una neppure il leader più potente di tutti, Barack Obama, che vaga per il Medio Oriente ascoltando le lamentele dei sauditi su Assad e l’Iran e presto si vedrà arrivare in casa Netanhyau senza neppure averlo invitato. Ma non basta l’autosufficienza energetica per avere una geopolitica efficace ed essere ancora dei leader mondiali incontrastati.