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 2015  gennaio 30 Venerdì calendario

Il terrorismo islamico e la lista delle cose che abbiamo fatto e non avremmo dovuto fare. Dall’Afghanistan a Gheddafi

Sono passati oltre 13 anni dall’attentato alle Torri gemelle e non è cambiato nulla. Anzi, la minaccia del fanatismo islamico è enormemente aumentata. È nato il Califfato e si sta diffondendo a macchia d’olio: Isis e Boko Haran controllano un territorio vasto più della Francia. Senza dimenticare altre propaggini, come quella in Libia, a poche miglia dalle nostre coste. A tutto ciò, si aggiunge il proliferare dei «cani sciolti», pronti a uccidere in nome del Profeta e a immolarsi per la «giusta causa». Che cosa non abbiamo fatto che invece avremmo dovuto fare? Dove abbiamo sbagliato? Che cosa dovremmo fare?
Monica Alessandri

Cara signora Alessandri,
Credo che occorrerebbe rovesciare la sua domanda: che cosa abbiamo fatto che non avremmo dovuto fare? La lista è piuttosto lunga e comincia con l’Afghanistan che gli americani invasero il 7 ottobre 2001, quasi un mese dopo l’attacco alle Torri gemelle. L’operazione era giustificata. Il regime talebano di Kabul ospitava il responsabile dell’attentato di New York e rifiutava di consegnarlo agli americani o espellerlo dal proprio territorio. Ma dopo una vittoria iniziale e l’inutile caccia a Osama bin Laden nelle montagne afghane, gli Stati Uniti decisero di ritirare buona parte del loro contingente permettendo così che i talebani, dopo essersi riorganizzati, tornassero in campo e trasformassero l’Afghanistan, per molti anni, in un nuovo campo di battaglia.
Il vero obiettivo americano era l’Iraq di Saddam Hussein, invaso nella primavera del 2003. Anche in questo caso la vittoria militare fu rapida. Ma dopo avere debellato le forze di Saddam, gli americani sciolsero l’esercito iracheno e il partito Baath, condannando alla disoccupazione alcune centinaia di migliaia di persone. La decisione creò un vuoto istituzionale che il nuovo governo iracheno non riuscì a colmare, e una massa di malcontenti che andarono a ingrossare sia i ranghi del nazionalismo sunnita, sia quelli delle formazioni islamiste.
Per più di un decennio, cara signora, vi sono stati nel Medio Oriente allargato due grandi campi di battaglia, vale a dire luoghi che si prestano ad attrarre e addestrare volontari, palestre di guerra dove gli elementi più fanatici competono per la leadership scavalcandosi a vicenda sul terreno della crudeltà e della ferocia. Non è tutto. Un terzo campo di battaglia si è aperto in Libia dopo l’operazione punitiva contro Gheddafi, voluta soprattutto da Francia e Gran Bretagna, nella primavera del 2011. Anche in questo caso un’apparente vittoria militare ha avuto per risultato un Paese ancora più caotico e ingovernabile di quanto fosse nella fase che precedette l’inizio dei bombardamenti. Anche in questo caso le democrazie occidentali hanno contribuito ad aggravare, con le loro scelte politiche, il malessere e la turbolenza del mondo musulmano.