Libero, 27 gennaio 2015
Le milizie curde hanno liberato Kobane, in Siria, ma la battaglia si fa sempre più globale, e l’Isis risponde incitando a attaccare globalmente
Le milizie curde hanno liberato Kobane, ma la battaglia si fa sempre più globale, e l’Isis risponde incitando a attaccare globalmente. Dopo quattro mesi di duri combattimenti, grazie al decisivo appoggio della coalizione anti-Isis dal cielo ma mandando i propri uomini e le proprie donne in prima linea a combattere con i jihadisti corpo a corpo, i peshmerga hanno potuto postare su Twitter la foto della bandiera curda issata sulla collina di Kobane.
L’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani di Londra conferma la vittoria curda, segnalando che le forze anti-Isis hanno conquistato il «90% di Kobane». I combattenti curdi, guidati da Mahmoud Barkhadan, sono avanzati sin nei sobborghi di Kani Erban e Maqtalah, nella periferia Est, dove sporadici combattimenti contro alcuni residui nuclei di jihadisti continuano. Tra questi ultimi combattenti asserragliati l’Isis avrebbe mandato a proteggere la ritirata molti minorenni. Da metà settembre a oggi sono stati stimati oltre 1.600 morti nei combattimenti, mentre circa l’80% dei raid della Coalizione si sono concentrati proprio sull’area di Kobane.
Nel contempo anche il generale iracheno Abdulamir al-Zaidi annuncia che le truppe del governo di Bagdad sono riuscite a riprendere il controllo della provincia di Diyala. Inoltre sarebbe stato ucciso il comandante militare dello Stato islamico a Ramadi, nella provincia occidentale di Anbar, insieme ad altri quattro jihadisti, mentre è in corso un’avanzata delle forze di sicurezza. Ma, pur senza rubricare direttamente nelle operazioni dell’Isis quella rivolta dei Fratelli Musulmani che in Egitto ha provocato 15 morti, sono per lo meno collegati idealmente allo Stato Islamico quei militanti di Boko Haram che stanno combattendo con l’esercito nigeriano per il controllo della città chiave di Maidoguri. E, da un’altra parte del mondo, 49 morti ci sono stati in uno scontro tra poliziotti filippini e ribelli islamici.
Per l’Isis, a quanto pare, anche la notizia della morte del re saudita Abdullah è un invito di Allah a tenere duro. «Chiediamo ad Allah di spedirlo all’inferno e di distruggere la casa regnante saudita», ha commentato il portavoce dell’Isis Abu Muhammad al Adnani, esprimendo la sua «gioia». Ma soprattutto al Adnani in un messaggio audio lungo 9 minuti e mezzo ha rivolto un appello a compiere attentati dappertutto. «Colpite i crociati nel loro territorio e ovunque si trovino», usando «un esplosivo, una pallottola, un pugnale, una pietra», è il tono di questa «chiamata ai mujahaddin in Europa». «In effetti avete visto cosa un singolo musulmano è stato in grado di fare con il Canada e il suo Parlamento, e cosa i nostri fratelli hanno fatto in Francia, Australia e Belgio». «Sguainate le spade e puntate le frecce. Siate fermi e non vi indebolite. O sarà una vittoria, attraverso la quale Allah onererà l’Islam e i musulmani, oppure martirio. Presto con il potere e la forza di Allah, la campagna dei crociati sarà spezzata. E dopo, Allah permettendo, ci incontreremo ad al-Quds», cioè Gerusalemme, «avremo un appuntamento a Roma». Soprattutto la monomania sulla conquista di Roma sembra da barzelletta, o da fumetto di Asterix. Ma che queste minacce dati i precedenti suscitino paura è dimostrato dal festival belga di cinema di Tournai che giovedì è stato sospeso «per il rischio particolarmente elevato di attentati». Era infatti in programma Timbuktu di Abderrahmane Sissako: un film mauritano candidato all’Oscar, che racconta il terrore cui gli abitanti della città già chiamata “la regina delle sabbie” furono sottoposti quando i jihadisti la conquistarono, e si misero a distruggere mausolei e biblioteche. Notizie arrivano anche dall’Algeria, dove la gendarmeria algerina ha smantellato una rete di “reclutatori” di combattenti per l’Isis che agiva in cinque città del Paese, tra cui la capitale, facendo opera di proselitismo soprattutto tra i giovani. Tra i 27 arrestati anche una studentessa 22enne dell’Università di Tlemcen, che secondo l’accusa indottrinava dei colleghi per convincerli ad arruolarsi nelle file dell’Isis.