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 2015  gennaio 27 Martedì calendario

Dalla campagna elettorale alla realtà: le promesse di Tsipras costano 11 miliardi. Dal ripristino della tredicesima per le pensioni minime alle agevolazioni fiscali, dalla sanità all’aumento del salario minimo. Facciamo due conti

Syriza ha vinto promettendo la fine delle politiche di austerità in un Paese che ha un debito pubblico di 330 miliardi di euro pari al 175% del Pil. Ma ora, dopo i sogni, c’è il brusco risveglio e l’esecutivo a guida Syriza, insieme ai Greci indipendenti, dovrà trovare una bella sommetta visto che i costi delle promesse elettorali di Alexis Tsipras sono pari a 11,4 miliardi di euro. Senza contare che, a fronte di casse disperatamente semivuote dell’Erario (i greci non stanno più pagando le imposte sperando in un calo o in una forte riduzione delle stesse), ci sono scadenze in arrivo di bond nei prossimi mesi per circa 10 miliardi di euro (di cui 3,5 miliardi a luglio e 3,7 miliardi ad agosto) che fanno un totale di 21,4 miliardi da trovare entro luglio.
Certo è facile promettere in campagna elettorale di ripristinare la tredicesima mensilità per centinaia di migliaia di pensioni minime, o di ridurre se non eliminare l’odiato balzello sulla prima casa, o addirittura fornire la corrente elettrica e distribuire i buoni pasto alle famiglie bisognose. È facile anche promettere di alzare la soglia di esenzione fiscale da 5mila a 12mila euro in un Paese flagellato dall’evasione fiscale di massa o alzare il salario minimo da 450 a 700 euro o infine di ripristinare l’assicurazione sanitaria ai disoccupati che sono il 25% della popolazione e raggiungono il 50% per i giovani. Tutti benefici da welfare scandinavo che costano parecchio ad ogni latitudine, non proprio uno scherzo ad Atene soprattutto se hai poche riserve e le banche hanno chiesto l’intervento del fondo speciale per evitare una crisi di liquidità.
Certo Syriza punta su una riduzione del debito pubblico o un allungamento delle scadenze, e su nuovi parametri per il pagamento degli interessi, pari a nove miliardi di euro all’anno, da legare alla crescita o al calo della disoccupazione: tutti elementi che ridurrebbero il costo del pagamento del debito, sebbene oggi l’interesse medio pagato sul debito all’Esm, il fondo salva stati europeo, è di 1,5%, un bel po’ ridotto rispetto al 5% medio originario dei prestiti del 2010.
Oltre questi risparmi teorici, tutti da verificare, Tsipras punta anche sull’utilizzo, tramite un accordo con il Fondo monetario e Bruxelles (la troika non fa più parte dei protagonisti della vicenda per il nuovo esecutivo greco che d’ora in avanti ha detto parlerà solo nelle sedi istituzionali europee e internazionali con i rappresentanti dei governi europei regolarmente eletti, non con dei burocrati), di un riserva da 11 miliardi di euro destinati a ricapitalizzare le banche di interesse nazionale greche. Gli 11 miliardi di euro sono quanto rimasto dei 50 miliardi di euro di prestiti originariamente destinati a ricapitalizzare gli istituti ellenici che erano stati devastati dopo la decisione dell’haircut da 100 miliardi di euro, il maggiore della storia moderna del Paese, sui bond greci detenuti dai privati. Una decisione che aveva poi mandato a picco anche le banche cipriote che aveva in pancia 4 miliardi di euro di bond greci.
Oggi il debito ellenico è in mano all’80% a soggetti pubblici (Paesi Ue, Fmi e Esm al 72%), l’8% alla Bce. Quindi la partita a scacchi sulla eventuale ristrutturazione coinvolge soprattutto governi e soggetti internazionali. Ma i soldi di cui si tratta per un eventuale secondo haircut sono tutti dei contribuenti, non di soggetti privati. Un elemento che rende ancora più complessa la partita negoziale, soprattutto se, come quest’anno, in Europa sono previste, dopo quella greca, altre sette consultazioni elettorali tra cui quelle britannica e spagnola con il partito di Podemos in testa nei sondaggi.