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 2015  gennaio 27 Martedì calendario

Re Abdullah dell’Arabia Saudita era davvero un riformatore?

È morto il Re dell’Arabia Saudita, del quale si dice che fosse un riformatore. Sarebbe interessante sapere quali riforme abbia messo in atto, in un Paese molto controverso, amico dell’Occidente (degli Usa in particolare) e (si dice) finanziatore di gruppi e regimi dell’estremismo islamico.

Elena Bonsanti
e.bonsanti@hotmail.it

Cara signora Bonsanti,
Re Abdullah ha lanciato un piano di edilizia popolare per la costruzione di 500.000 unità abitative. Ha ridotto il vitalizio dei principi del sangue (circa 7.000). Ha invitato i suoi connazionali a pubblicare le loro lagnanze e proposte su una pagina di Facebook. Ha inviato all’estero, con generose borse di studio, parecchie migliaia di giovani uomini e donne. Ha autorizzato la prima elezione popolare dei consigli municipali. È molto per uno dei Paesi più conservatori del pianeta; è poco per coloro che attendevano qualche miglioramento, promesso dieci anni fa, della condizione femminile. Nonostante le aperture di Abdullah, l’Arabia Saudita è ancora il Paese in cui le pubbliche manifestazioni sono proibite, le donne non possono guidare l’automobile e l’arcigna polizia religiosa sorveglia il comportamento dei cittadini, esige il rispetto della legge coranica, impartisce punizioni ai trasgressori.
Queste contraddizioni appartengono alla natura del Paese. L’Arabia Saudita è il maggiore produttore di petrolio al mondo, è una potenza finanziaria attiva su tutti i mercati mondiali, ha una classe dirigente formata nelle università e nelle business school delle grandi democrazie. Ma è anche un regno tribale, nato nel deserto, governato da un sovrano che deve il suo potere a una investitura religiosa (è custode dei due maggiori luoghi santi dell’Islam, la Mecca e la Medina) e può contare sulla lealtà dei suoi sudditi soltanto se, nell’esercizio di questa funzione, rispetta le regole di una particolare setta religiosa dell’Islam sunnita, fondata nell’Arabia centrale da Muhammad Al-Wahhab verso la metà del Settecento.
Come ricco produttore di petrolio, il Paese dei Saud deve vivere nel mondo e con il mondo. Come custode dei luoghi santi è uno Stato teocratico. Come principale incarnazione della dottrina wahhabita e come Paese dotato di colossali mezzi finanziari deve essere generoso con i movimenti sunniti e, in particolare, con quelli che si oppongono alla crescita dell’influenza sciita nel mondo musulmano. E come Stato autoritario, infine, deve difendere il potere del sovrano contro qualsiasi tentazione democratica. Non è sorprendente, in questa situazione, che l’Arabia Saudita possa essere, a seconda delle circostanze, moderna e arcaica. La coerenza, cara signora, è un lusso che il regno dei Saud non può permettersi.